Aiuto alla Chiesa che Soffre ricorda il centenario del suo fondatore: il padre Werenfried
van Straaten
«Insigne apostolo della carità». Così Giovanni Paolo II ha definito padre Werenfried
van Straaten, fondatore di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Il Papa polacco ed
il monaco olandese - riporta l'agenzia Zenit - erano legati da una profonda e duratura
amicizia, nata quando Wojtyla era ancora arcivescovo di Cracovia. Ed è a Werenfried
che, dopo il crollo del comunismo, il Pontefice affidò il compito di «restaurare l’amore»
attraverso il sostegno alla sorella Chiesa ortodossa. Ieri, 17 gennaio, Aiuto alla
Chiesa che Soffre ha festeggiato il centenario della nascita del suo fondatore. Scomparso
il 31 gennaio 2003, appena due settimane dopo il suo novantesimo compleanno, “il più
grande mendicante del Novecento” lascia in eredità alla sua Opera l’esempio vibrante
di oltre mezzo secolo di apostolato originale e coraggioso e il suo storico berretto
nero, il “cappello dei milioni”, compagno instancabile di elemosine, «sempre assetato
di offerte». «Il cappello è logoro e bucato – ironizzava – quindi mettete banconote
e non monete. Altrimenti cadono!». Nella sua vita ha raccolto oltre tre miliardi di
dollari per la Chiesa nel bisogno, spronato dalla convinzione che «gli uomini sono
molto migliori di quanto si pensi. Attendono soltanto la parola ardente che infiammi
i loro cuori». Una capacità non certo avulsa al suo immenso carisma e al vigore della
sua carità. «Il nostro budget è fatto da promesse» ripeteva il monaco premostratense
ricordando le innumerevoli volte in cui aveva promesso aiuto senza disporre delle
risorse necessarie. «E tutto quello che abbiamo promesso, sempre abbiamo ricevuto,
sempre, sempre. Dio non ha mai deluso la nostra fiducia». Quando a 21 anni entrò in
abbazia a Tongerlo, Philippus van Straaten scelse il nome Werenfried, che significa
«combattente per la pace». Quel nome diverrà il senso e l’espressione di una vita
interamente dedicata ai «fratelli perseguitati» che ha sempre considerato «l’élite
della nostra Chiesa». «Dio piange in tutti gli oppressi e i sofferenti del nostro
tempo. E non possiamo amarLo senza asciugare le sue lacrime. Per questo ho cominciato
a peregrinare attraverso i deserti di macerie e i campi di baracche della Germania
sconfitta, attraverso i campi profughi in Europa e in Asia, in America Latina. Dovunque
Dio piange». È questa la missione che ha affidato alla sua Opera, Aiuto alla Chiesa
che Soffre, onorata dapprima con il sostegno ai rifugiati tedeschi in fuga dalla Germania
orientale, poi nel dare voce alla Chiesa del silenzio aldilà della Cortina di ferro
e in seguito oltre nuove “cortine” accanto a tutti i martiri della fede. Combattendo
l’ateismo del comunismo materialista con la stessa tenacia con cui aveva combattuto
il comunismo ateo. Dalla raccolta di lardo ai camion trasformati in “cappelle volanti”,
dalla Bibbia illustrata per bambini fino ai “battelli-cappella” che diffondevano la
parola di Dio lungo il Volga. Testimone del suo tempo, attraverso la sua geniale inventiva
padre Werenfried ha saputo rispondere a bisogni materiali e soprattutto spirituali,
sostenendo la pastorale della Chiesa che soffre. «La vostra opera è essenzialmente
pastorale» scrisse Giovanni Paolo II nel 1987 e la dimensione pastorale si riflette
nelle priorità dell’Opera, tra cui emergono il sostentamento a sacerdoti e religiosi
e gli aiuti alla loro formazione. Padre Werenfried stesso faceva notare la natura
essenzialmente sacerdotale del suo lavoro. «Non sono stato incaricato di risanare
l’economia ma la vita di Cristo nel cuore degli uomini. Tutto quello che ho fatto
l’ho fatto da sacerdote, figlio della Chiesa cattolica». (R.P.)