Usa. Giro di vite del presidente Obama sul possesso di armi:firmati 26 decreti
Negli Usa ad un mese dalla strage della scuola elementare di Sandy Hook via libera
ad una stretta senza precedenti sulle armi da fuoco. Ieri, circondato da un gruppo
di bambini, il presidente Obama ha firmato 23 decreti per imprimere subito un giro
di vite.Il servizio da Washington di Francesca Baronio:
Esaudisce, leggendole,
le lettere di quattro bambini che siedono con lui in conferenza stampa, Barack Obama,
accompagnato dal suo vice Biden, e parla al cuore della nazione. Ad un mese dalla
strage di Sandy Hook, altre 900 persone sono morte per ferite di armi da fuoco, dice
il Presidente, dobbiamo agire tutti insieme, subito e cambiare la nostra mentalità
per la salvaguardia del nostro bene più prezioso, i nostri figli. Per questo, alcune
misure vanno prese subito. La prima è qualla di maggior controllo su chiunque compri
armi, oggi il 40% sfugge alla più banale verifica. Poi il rispristino del bando delle
armi di assalto, in vigore fino al 2004, ma anche la riduzione della capacità dei
caricatori in vendita, la collaborazione con le agenzie federali per rendere disponibili
i dati sui crimini a mano armata, oltre a pene più severe per i commercianti di armi.
Queste alcune delle misure appena annunciate e che Obama è pronto a firmare da subito.
La parola passa ora al Congresso dove la potente lobby delle armi, la NRA, appellandosi
al secondo emendamento, promette guerra.
Per un commento sull'iniziativa di
Obama, Massimiliano Menichetti ha intervistato Gregory Alegi, docente
di Storia e istituzioni dell’America del Nord, alla Luiss di Roma:
R. – Lo Stato
di New York è ormai da molti anni su posizioni più restrittive rispetto al resto degli
Stati Uniti. Se guardiamo il contenuto di queste norme, sono quelle che da un punto
di vista europeo definiremmo di buon senso, perché evidentemente c’è una differenza
tra il possesso di armi da difesa personale – le pistole – e le armi d’assalto con
caricatori ad alta capacità, che a noi sembrano difficili da giustificare. Diciamo
che la decisione di New York non sorprende né rispetto alla tradizione dello Stato,
che da almeno 20 anni è su una strada di restrizione del possesso delle armi, né in
termini di contenuti, perché è stato fatto un provvedimento ad armi che il cittadino
non ha nessun bisogno di possedere.
D. – La proposta del presidente Barack
Obama, restrittiva, incontra il “no” della cosiddetta lobby delle armi, che annuncia
battaglia in Parlamento. In America, c’è consapevolezza di voler cambiare qualcosa
che è stato così fino adesso, oppure si sta ragionando sulla scia emotiva di quanto
accaduto a Newtown?
R. – Indubbiamente l’emozione, lo shock di Newtown gioca
un ruolo importante. Sotto altri aspetti, si tratta in realtà di un ritorno al passato.
Ricordiamoci che fino al 2004 era in vigore una limitazione sulle armi d’assalto che,
scaduto il termine, non è stata rinnovata. Le limitazioni c’erano e in larga parte
si tratterebbe di ripristinarle. Da un punto di vista politico, la difficoltà che
incontra il presidente Obama è quella di un presidente che non ha la maggioranza parlamentare.
Il partito democratico, tendenzialmente più favorevole ad una qualche forma di controllo,
ha la maggioranza solo in Senato, mentre la Camera è repubblicana e due terzi dei
deputati, nel complesso, ha ricevuto l’endorsement, l’approvazione massima,
il voto A, dalla "National Right of Association" (Nra), quindi dalla lobby
dei proprietari di armi. Questo ci fa capire che quali che siano le limitazioni che
Obama intende proporre al Paese, la difficoltà sarà farle approvare soprattutto dalla
Camera. Se passano la Camera, il Senato non avrà alcun problema a ratificarle. Tanto
che sui giornali americani si specula sul fatto che il presidente possa sottoporre
il disegno di legge prima al Senato, dove incontrerebbe minori difficoltà, in modo
da mettere la Camera spalle al muro e mettere i repubblicani nel ruolo dei cattivi.
Anche perché il presidente sa bene che nei sondaggi una maggioranza, sia pur non enorme,
dei cittadini, dopo Newtown, è sfavorevole a restrizioni.
D. – Secondo alcuni
osservatori, questa azione diretta di Obama, in un certo qual modo, andrebbe a comprimere
un Congresso già indebolito...
R. – Indubbiamente, negli Stati Uniti la tendenza
degli ultimi 15 anni è quella di una cattiva immagine della politica, per motivi diversi,
ma con risultati sostanzialmente non diversi da quelli che vediamo anche noi in Italia.
Quindi, il tentativo di caratterizzare soprattutto la Camera come forza contraria
agli interessi profondi del Paese è una strategia che potrebbe funzionare e se funzionasse
darebbe a Obama una carta in più per il resto del suo mandato. Attualmente, tutti
i provvedimenti più ampi, più riformatori, più innovatori di Obama si scontrano con
una Camera sostanzialmente contraria.
D. – Per capire il volto del popolo statunitense,
la domanda per un europeo può essere: come sia possibile che armi d’assalto siano
vendibili, comprabili, cedibili...
R. – C’è un emendamento alla Costituzione
che tutela il diritto di possedere e portare armi. Questo è un emendamento nato subito
dopo la ratifica, quindi alla fine del ‘700, ed era legato al fatto che i coloni americani
erano contrari agli eserciti permanenti. Avendo visto un esercito, quello del re inglese,
come oppressore, non volevano che la nuova Repubblica potesse dotarsi di un esercito
come polizia interna. Quindi, la soluzione è: la milizia saremo noi, pronti a intervenire
a difendere la libertà, l’indipendenza, se ce ne fosse bisogno. E’ evidente a tutti
che negli ultimi 220 anni lo scenario è profondamente cambiato. Questa tutela costituzionale,
quindi, del diritto di portare armi, per quanto faccia parte della storia stessa della
nazione, deve necessariamente essere rivista alla luce della realtà odierna. In una
società come quella di oggi, l’arma d’assalto non si giustifica.
D. – Il popolo
americano, secondo lei, è consapevole di un passaggio anche istituzionale profondo
che si andrebbe a compiere?
R. – Sì e no, perché la geografia politica degli
Stati Uniti è molto diversa da quella alla quale noi siamo abituati a pensare. L’America
libera, progressista, della traiettoria roosveltiana, kennedyana, che ha affascinato
tanto l’Europa, è ormai soltanto un ricordo. Sono almeno 30 anni che c’è questa inversione
di polarità, a favore di un conservatorismo e di una chiusura, che indubbiamente hanno
cambiato molti atteggiamenti. Basti pensare che l’Nra, appunto l’associazione dei
proprietari di armi, ha detto che la soluzione alla strage era quella di armare i
docenti. Questa è una cosa che in Europa nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di
pensare, prima ancora di dire.
D. – L’utilizzo, il possesso di così tante armi
negli Stati Uniti, è anche espressione di un forte disagio, che invece chiamerebbe
in causa il rafforzarsi di alcune politiche sociali, sanitarie a favore del cittadino...
R.
– Da un punto di vista europeo, credo non si possa sfuggire a questa sua conclusione.
La difficoltà è proprio quella di immergersi nel clima degli Stati Uniti di oggi,
dove questi temi non sono sentiti come molto forti. Possiamo vederci un po’ tutte
le contraddizioni dell’America di oggi, che si rende conto, perché lo sperimenta,
perché lo vive, dell’utilità di certe soluzioni, ma quando poi vengono prospettate
tende invece a richiudersi e a rifiutarle.
D. – Ma il perché di questa contraddizione
qual è?
R. – C’è un ritorno a quella che era una matrice iniziale, chiamiamo
una lettura errata della sussidiarietà. Mi fido della mia comunità, di quello che
mi è vicino, di quello che conosco, e invece non ho alcuna fiducia in ciò che è lontano
da me, come un governo centrale. Questa potrebbe essere una lettura, un richiudersi
nella propria piccola comunità.