Siria: strage all'Università di Aleppo. Lettera all’Onu per fermare i reati contro
l’umanità
Nuovo attentato oggi in Siria all’Università di Aleppo, nel nord del Paese. Le prime
fonti ufficiali riferiscono di 15 morti. Fonti locali di attivisti hanno riferito
intanto di almeno 50 persone rimaste senza vita tra la notte scorsa e stamani, soprattutto
a causa di pesanti bombardamenti governativi su Hula nella provincia di Homs. E intanto
si levano voci contro le violazioni dei diritti umani da parte di Damasco: senza un’azione
contro l’impunità, non ci sarà pace duratura in Siria. Per questo, 57 Paesi, capeggiati
dalla Svizzera, hanno inviato ieri una lettera al Consiglio di Sicurezza dell’Onu
per chiedere l’intervento della Corte penale internazionale (Cpi). Un provvedimento
sollecitato da Amnesty International dall’aprile del 2011, un mese dopo lo scoppio
delle ostilità tra il governo di Assad e le opposizioni. Roberta Gisotti ha
intervistato Riccardo Noury, portavoce dell’organizzazione umanitaria:
D. – Che cosa
si spera di ottenere con questa lettera?
R. – Di superare una paralisi che
ormai va avanti da quasi due anni all’interno del Consiglio di sicurezza. Non soltanto
comitati internazionali per i diritti umani e organizzazioni non governative chiedono
che si faccia qualcosa per porre fine all’impunità e ai crimini contro l’umanità,
ai crimini di guerra commessi in Siria: il fatto che ci siano ora 57 Stati membri
dell’Onu è un segnale importante. Potrebbe essere quello decisivo per avviare finalmente
un’indagine da parte del procuratore della Corte penale internazionale.
D.
– Intanto, la gente continua a morire in Siria. Un nuovo Rapporto, in questi giorni,
dell’organizzazione umanitaria Irc, "International Rescue Committee", denuncia non
solo l’uccisione di tanti minori, ma anche lo stupro sistematico di donne. Vi risulta
questo terribile fenomeno?
R. – Risulta difficile dire quanto sia pianificato,
sistematico e possa essere in qualche modo analogo ad altri casi drammatici del genere,
come accaduto in Bosnia e in Rwanda. Non credo siano a quei livelli. E’ certo che
anche nelle ricerche effettuate da Amnesty International ci sono stati casi - in particolare
nel contesto delle torture, all’interno delle carceri, e durante i raid a terra compiuti
dopo i bombardamenti aerei - di violenza e stupro nei confronti di civili, in particolare
donne, che sono stati confermati dai nostri ricercatori.
D. – Nella prassi
che cosa si può fare?
R. – Intanto, il Consiglio di icurezza dovrebbe togliere
quell’ombra di sospetto, un po’ più di un sospetto, che non abbia interesse o abbia
perso la volontà, semmai ce l’abbia avuta, di proteggere i civili in Siria. Amnesty
International continua a chiedere che ci sia il deferimento alla Corte penale internazionale
della Siria rispetto a tutte le parti sospettate di aver commesso i crimini di guerra
e i crimini contro l’umanità. Occorre che i Paesi, gli Stati membri delle Nazioni
Unite, esercitino la giurisdizione universale nei confronti di chiunque sia sospettato
di avere commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che si trovi nei loro
Paesi. E certamente, se c’è ancora un margine per una soluzione che non contempli
il ricorso alle armi, questa soluzione va esplorata fino in fondo. Resta comunque
il problema enorme di chi può sedersi intorno ad un tavolo, riconoscendo nell’altro
un interlocutore in un negoziato di pace, su questo potrebbe essere purtroppo troppo
tardi. Qualunque cosa accada, c’è una questione che Amnesty International ritiene
fondamentale: interrompere l’impunità. Non è possibile per il futuro della Siria che
quell’eredità di decenni di repressione vada avanti in maniera impunita.
D.
– Nel gruppo di Paesi firmatari è l’Italia, non ci sono Stati Uniti, Russia e Cina.
Come valutare queste assenze?
R. – E’ come se ci fosse un’altra stanza, un
altro luogo all’interno delle Nazioni Unite, in cui i grandi si riuniscono per fare
qualcosa che non è nient’altro che inconcludente retorica fino a oggi. Noi siamo passati
in questi due anni quasi dal "cento" – che era quello di minacciare la guerra, ogni
volta peraltro spostando in avanti la linea rossa, da non oltrepassare – allo "zero",
che è il veto posto da Russia e Cina, in particolare su ogni tentativo significativo
di fare una risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza, che avesse a che fare
con i diritti umani. Quindi, l’idea che ci siano degli Stati membri che pungolano
le grandi potenze, le maggiori responsabili di questa retorica inconcludente, è un
fatto positivo. Preoccupa certo che poi risultino quasi i destinatari, come se ci
fossero due Nazioni Unite, di chi spinge per un intervento della Corte penale internazionale
e chi riceve questo invito.