Haiti: segni di speranza dopo il terremoto: la storia del giovane Roody
Haiti, tre anni dopo il devastante terremoto, è un Paese ancora lacerato da enormi
difficoltà. Ma non mancano storie che infondono speranza, nonostante siano segnate
da profonde sofferenze. E’ il caso di un giovane studente che era iscritto alla facoltà
di ingegneria presso l’Università di Haiti al momento del sisma, arrivato poi in Italia
grazie all’impegno della Camillian Task Force. Roody ha 24 anni, è rimasto senza un
braccio e senza una gamba a causa del terremoto. “Dopo la forte scossa – ricorda il
giovane - ho trascorso due notti sotto le macerie fino a quando ho sentito rumore
di elicotteri, ero certo che mi avrebbero trovato”. Purtroppo negli ospedali non c’erano
posti e sono tornato a casa per qualche giorno senza ricevere alcuna cura. Quando
gli arti hanno iniziato ad infettarsi – spiega Roody - con mio padre sono andato alle
tende che la Marina Militare aveva allestito e un soldato mi disse che avrei perso
il piede. Dopo l’iniziale sconforto, mi sono affidato alle cure dei medici di bordo
che mi hanno amputato un braccio e una gamba. Su quella nave – aggiunge - ho incontrato
un padre Camilliano che ha chiesto a noi feriti se ci sarebbe piaciuto andare in un
posto più sicuro e così la sera ci hanno portati all’Ospedale Saint Camille, dove
hanno iniziato a prendersi cura di noi, gratuitamente. Senza di loro – continua Roody
le cui parole sono state riprese dall’agenzia Fides – non avrei potuto sostenere le
spese per le cure, hanno provveduto alla protesi, costruita ad Haiti, grazie alla
quale ho ripreso a camminare. Nell’ospedale ho incontrato fratel Luca Perletti, che
mi ha chiesto se volessi continuare gli studi altrove. Così il 9 ottobre 2011, i Camilliani
mi hanno portato in Italia e, ottenuti i documenti dalla mia università di Haiti,
ora studio a Milano, dove ho incontrato i volontari dell’associazione della Misericordia
che mi stanno aiutando. Voglio finire gli studi – conclude Roody - e cercare un lavoro
possibilmente in Italia o in un Paese dove per me è più facile camminare e lavorare”.
(A.L.)