L'Arabia Saudita apre alla presenza delle donne nel Consiglio della Shura
Si registrano pareri discordanti sull’apertura alle donne in Arabia Saudita all’interno
del Consiglio della Shura, l’organo consultivo in grado di proporre - e non varare
- provvedimenti, finora aperto solo agli uomini. Saranno 30 le donne che vi prenderanno
parte – costituiranno il 20% dell’assemblea - entreranno da un ingresso separato e
saranno coperte dal velo. Pur apprezzando il cambiamento, molti esperti hanno espresso
rammarico perché sul fronte dei diritti concessi alle donne si poteva fare di più.
Benedetta Capelli ha chiesto un parere a Renzo Guolo, docente di Sociologia
dell'islam all’università di Padova:
R. – E’ un passo
simbolico, un primo passo di apertura che segue già ad alcune aperture fatte negli
anni scorsi, quando i regnanti dell’Arabia Saudita si sono resi conto che non potevano
tenere troppo schiacciato il pedale sul freno della libertà, anche quella femminile,
perché questo avrebbe potuto esporre il regno a conseguenze che si sono viste anche
in altri Paesi. Quindi, è stata una sorta di mossa preventiva per evitare che i processi
della cosiddetta primavera araba investissero anche l’Arabia Saudita.
D. –
La condizione femminile in Arabia Saudita presenta aspetti molto problematici, anche
se, come diceva lei, negli ultimi anni qualche passo in più è stato fatto. Sta crescendo,
però, anche una coscienza diversa all’interno del Paese. Su Twitter dopo questa apertura
da parte del re, in realtà molti hanno espresso disagio perché si poteva fare qualcosa
di più…
R. – E’ chiaro. La libertà femminile è appena agli inizi, questo è
indubbio. C’è una serie di problematiche che abbiamo visto negli anni scorsi, pensiamo
solo al permesso di guidare la macchina o ai diritti legati a una concezione molto
rigida della sharia, che penalizza la donna. E’ chiaro che le aperture sono ancora
troppo poco profonde, ma si tratta di un segnale. Bisogna capire se all’interno delle
élite - perché purtroppo bisogna parlare di élite – delle donne che ruotano intorno
agli ambienti della monarchia saudita, come è avvenuto nel passato sempre dall’interno,
si può immaginare una forte spinta, una forte pressione che possa indurre a ulteriori
passi in avanti rispetto alla condizione femminile.
D. - Nel passato queste
aperture avevano irritato i leader religiosi wahabiti?
R. – Sì e anche su questo
non saranno troppo d’accordo. Dobbiamo pensare che il clero wahabita è molto restio
a qualsiasi possibilità di aprire la strada delle libertà femminili. Ma è evidente
che il re in questa fase si pone con un ruolo di mediazione tra la necessità di mantenere
una certa legittimità religiosa, che è conferita dagli ulama, e le pressioni che vengono
all’interno in particolare dagli ambienti legati alla monarchia, per aprire un po’
più complessivamente il sistema. E’ chiaro che non potendoci essere una vera e propria
apertura politica nel senso di pluralismo politico effettivo, questo tipo di apertura
arriva sul terreno dei diritti anche se è, ancora una volta, in modo troppo limitato,
ma simbolicamente è un segno. E’ un solco che andrà approfondito se i movimenti all’interno
dell’Arabia Saudita avranno la forza per camminare rapidamente su questo solco appena
tracciato.
D. – Soltanto qualche giorno fa, invece, le Nazioni Unite hanno
espresso sconcerto per l’uccisione di una babysitter cingalese accusata di infanticidio
ma ai tempi dei fatti era minorenne. Dunque due anime che si esprimono in questo modo
all’interno del Paese…
R. – Sì, sicuramente, ci sono due anime. Il problema
è vedere quale delle due riuscirà a vincere dopo questa lunga fase di transizione.