Rehn: ripresa nell’Eurozona solo dal 2014. Becchetti: eccessive misure di austerity
nell'Ue
L'economia dell'Eurozona è ancora debole la ripresa ci sarà solo a partire dal 2014.
Così il commissario europeo Olli Rehn. Parlando dell’Italia, che ieri ha collocato
3,5 miliari di btp a 3 anni, ha detto che “è molto più stabile e sicura”, e che con
gli “spread dimezzati risparmia circa 3 miliardi”. Intanto il Giappone vara un piano
da 226,5 miliardi di dollari. Massimiliano Menichetti:
Le nebbie sull’Europa
non si diraderanno prima del 2014, ne è convinto il commissario europeo Olli Rehn,
che ieri è tornato a ribadire che “i cittadini” del Vecchio continente “dovranno fronteggiare
ancora mesi difficili e che si continuerà a sentire l'impatto della crisi”. Un pessimismo
che ridimensiona, in un certo senso, le previsioni del presidente della Banca Centrale
Europea, Mario Draghi, che aveva parlato di graduale ripresa da quest’anno, nonostante
“l’allarme disoccupazione” lanciato dal presidente dell’Eurogruppo Juncker. Comunque
Rehn guardando all’Italia ha precisato che già dal 2011 sono state “avviate misure
di consolidamento coerenti”. Intanto anche l’Asia fa i conti con la crisi, il Giappone
ha approvato un pacchetto di stimoli fiscali per l'economia del valore di 20 trilioni
di yen, circa 226 miliardi di dollari. Le misure comprendono una serie di progetti
per la realizzazione di grandi infrastrutture e provvedimenti per favorire gli investimenti
e generare la creazione di 600mila posti di lavoro.
Per un commento sulla situazione
economica, Massimiliano Menichetti ha intervistato l’economista Leonardo
Becchetti, ordinario di Economia Politica all’Università di Roma “Tor Vergata”:
R. – L’Europa
deve cambiare e deve diventare molto più aggressiva nelle sue politiche macroeconomiche.
Gli altri Paesi usano il tasso di cambio, gli Stati Uniti, con la Banca Centrale,
hanno ribadito che ormai l’obiettivo è quello dell'occupazione e non solo della moneta.
Ci sono Paesi che hanno politiche molto più espansive: Giappone e Stati Uniti in primis.
L’Europa deve andare in questa direzione. Ci sono varie strade per farlo e una è quella
di approvare un bilancio comunitario serio, che preveda investimenti forti nelle infrastrutture
digitali e non, perseguire la politica della “golden rule” (lo scorporo degli investimenti
pubblici produttivi dal calcolo del deficit). Questo va accompagnato anche ad una
politica sociale più importante, in questo senso è stato molto rilevante il fatto
che, a livello europeo, si sia parlato di salario minimo garantito.
D. – Per
contrastare la crisi, la parola d’ordine è stata “austerity”, ma anche Olivier Blanchard
del Fondo monetario internazionale, pur parlando a titolo personale, si è unito a
molti premi Nobel per l’economia, ribadendo che questa strada non è in fin dei conti
del tutto positiva…
R. – L’Europa ha esagerato da questo punto di vista. Ovviamente
deve stare attenta anche al rigore, alla disciplina di bilancio, ma deve creare una
macroeconomia molto più al servizio della persona di quella che abbiamo adesso.
D.
– “Austerity” in sostanza viene tradotta in questo momento come taglio allo Stato
sociale?
R. – Senz’altro. Bisogna anche modificare proprio la strategia della
tassazione. Bisogna tassare ciò che produce effetti sociali negativi: penso al gioco,
penso all’inquinamento ambientale, all’inquinamento finanziario, modificare il rapporto
tra finanza e impresa. Questa è una strada per evitare i tagli allo Stato sociale,
che ho proposto per l’Italia, ma vale anche per l’Europa. Oggi abbiamo gli strumenti
tecnologici per azzerare l’evasione, se vogliamo. Azzerare l’evasione vuol dire far
pagare tutti, e usare questi soldi per ridurre la pressione fiscale, in questo modo
c’è spazio per una riduzione delle tasse fino al 20 per cento. Ci sono, quindi, tutta
una serie di possibilità per conciliare la sostenibilità del debito e lo sviluppo.
Se si vuole – ripeto – le strategie per trovare le risorse, per riequilibrare l’economia
al servizio dell’economia reale e delle persone, ci sono.
D. – Nelle nazioni
colpite da “austerity”, il debito pubblico continua a salire…
R. – Continua
a salire perché il pil non riparte. Se non c’è crescita, non ci sono entrate per lo
Stato capaci di compensare le uscite.
D. – Junker rilancia l’allarme disoccupazione.
Politiche di “austerity” e “disoccupazione” in fondo sono legate. Se non riparte l’economia,
anche la disoccupazione aumenta.
R. – Certamente. Bisogna puntare a far ripartire
l’occupazione, soprattutto quella giovanile, ma senza avere l’illusione che a far
ripartire l’occupazione è la mera riforma del mercato del lavoro. Il discorso dell’occupazione
dipende anche dal tenore generale delle politiche monetarie, fiscali, dipende dalla
loro espansività, dall’investimento.
D. – Una precisazione: non bisogna confondere
“austerity” con rigore…
R. – No, assolutamente. L’equilibrio dei conti è necessario,
perché altrimenti finiamo in situazioni come quella della Grecia. Ci sono, però, modi
e modi per perseguire questo equilibrio. All’interno poi di un saldo complessivo,
che deve essere equilibrato, che non deve far aumentare il debito, si possono scegliere
tante opzioni diverse. Ed è su questo che si discute.