Mali: verso colloqui di pace diretti. Pressioni dei ribelli su Bamako
Comincerà il 10 gennaio la seconda fase dei colloqui diretti tra il governo di Bamako
e alcuni dei gruppi armati che controllano le regioni settentrionali del Mali: lo
ha annunciato il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, mediatore per conto
della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao). Come al primo
appuntamento, il mese scorso, Ouagadougou sarà sede dell’incontro tra le autorità
di transizione, i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla)
e gli islamisti di Ansar Al Din. Da alcune settimane - riporta l'agenzia Misna - la
Cedeao, con il contributo dell’Algeria, sta cercando di riportare le due formazioni
armate su posizioni meno estremiste e distanti da quelle di Al Qaeda nel Maghreb islamico
(Aqmi). A pochi giorni dalla nuova fase negoziale tuttavia, gli islamisti di Ansar
Al Din alzano la voce con dichiarazioni presentate da stampa e osservatori come un
tentativo di esercitare pressioni su Bamako. Il documento politico consegnato la scorsa
settimana a Compaoré, rimasto finora segreto, contiene alcuni punti fermi che potrebbero
complicare la trattativa col governo centrale. Tra questi c’è l’applicazione della
sharia: per il movimento guidato da Iyad Ag Ghaly si tratta di “una condizione non
negoziabile visto che il popolo maliano è musulmano al 95%”. Nella ‘piattaforma’ politica
– un documento di 17 pagine – viene anche evidenziata l’identità tuareg delle popolazioni
del nord, “trattate come cittadini di serie b”. Ansar Al Din, in alcuni momenti alleato
all’Mnla – ribellione tuareg laica e pro secessione – si dice disposto a rinunciare
all’indipendenza da Bamako a favore di “un’ampia autonomia” nello Stato maliano che
dovrebbe sancire nella Costituzione la sua “natura islamica”. Gli osservatori sottolineano
che le rivendicazioni formulate saranno argomento di scontro: Bamako ha ribadito in
più occasioni la laicità e l’indivisibilità dello Stato maliano. Inoltre dal terreno
fonti di stampa internazionale hanno riferito di una progressione verso il sud del
Paese di alcuni jihadisti, miliziani armati legati ad Ansar Al Din, Aqmi, al Movimento
per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) ma anche alla setta nigeriana
di Boko Haram. Circa 300 uomini, provenienti da Gao e Timbuctù, sarebbero stati avvistati
nei pressi della località di Bambara-Maoudé, a meno di 200 chilometri dalle zone controllate
dall’esercito maliano. Intanto dalla Mauritania, confinante con le regioni settentrionali
del Mali, è stata confermata la resa all’esercito di Nouakchott di decine di combattenti
tuareg dell’Mnla che hanno consegnato “armi, munizioni e veicoli” nella zona di Bassiknou.
Secondo fonti militari mauritane gli ex ribelli sono già stati trasferiti nel campo
sfollati di M’bera, dove negli ultimi mesi sono affluiti più di 100.000 maliani in
fuga dal nord. A guardare in direzione di Nouakchott è anche il governo di Bamako.
In un colloquio col presidente mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, il primo ministro
maliano Diango Cissoko ha chiesto un “maggior coinvolgimento del vostro Paese nella
risoluzione della crisi del nord”. La Mauritania, che condivide col Mali migliaia
di chilometri di confini porosi, ha già annunciato che non fornirà truppe alla futura
Forza internazionale in Mali (Misma). Oltre all’appuntamento di Ouagadougou, la Cedeao
ha convocato a Bamako per il 23 e il 24 gennaio un mini-vertice dei capi di Stato
dei Paesi dell’Africa occidentale per “fare il punto sugli ultimi sviluppi della crisi
maliana in vista del vertice dell’Unione Africana a fine mese”. Tra questi, il più
significativo è stato la risoluzione approvata il 20 dicembre dal Consiglio di sicurezza
dell’Onu che ha dato il via libera al dispiegamento per un anno di una Forza internazionale
sotto comando africano per “ristabilire l’integrità territoriale” del Mali. (R.P.)