2013-01-07 11:36:31

EDITORIALE EUROPEO: la crisi e il futuro


“Io sono Europa, noi siamo Europa”. Più che uno slogan, un’idea di convivenza, solidarietà e condivisione, che rischia di essere messa in discussione dall’onda di piena della crisi che ha trascinato con sé i principi europeisti dei padri fondatori. A dettare l’agenda oggi non è il senso di unione, ma la crisi, divenuta anche la parola più ricorrente, non solo tra la gente, ma soprattutto tra le Istituzioni. Perché la crisi non è un concetto, ma una realtà che impatta sulla quotidianità degli oltre 500 milioni di cittadini europei. Eppure l’Europa ha reagito, seppur lentamente, mettendo in campo le sue forze migliori e costruendo una barriera di interventi, anche se forse concentrata troppo su un’arditissima visione “squisitamente” economica. Tutto questo a scapito dei cittadini, sui quali la crisi si riverbera come un terremoto, creando conseguenze sociali gravissime. La povertà, in primo luogo, che coinvolge solo nel Vecchio continente quasi 120milioni di persone - un cittadino su quattro – per le quali la quotidianità è fatta di stenti e rinunce. La disoccupazione, in secondo luogo, devastante e concreta ricaduta sociale; dal 2008, sono stati persi oltre 26 milioni di posti di lavoro, ed in alcuni Paesi oltre il 50% dei giovani non ha un lavoro. Questo si trasforma in mancanza di equità, ed in una crisi che più che economica diventa di fiducia. “Quanto sta accadendo è inaccettabile”, va ripetendo da tempo il presidente della Commissione Europea Barroso, mettendo in evidenza il rischioso progressivo scollamento tra Istituzioni e cittadini. Ed il pericolo più grande è determinato dal fatto che lo stesso sistema sociale europeo, vero modello per il mondo intero, rischia di morire. Che fine hanno fatto i diritti di base? Che fine ha fatto il senso di solidarietà? Che fine farà l’Europa? Gli analisti sono quasi tutti concentrati sui dati economici; il 2013 rappresenterà l’anno del cambiamento, dal 2014 si tornerà a crescere. Nel frattempo aumenta in maniera esponenziale il numero dei senza fissa dimora, che da fenomeno di estrema marginalizzazione, si fa sempre più frequente e possibile. Perché diventa difficile pagare un mutuo o un affitto e perché la tenuta della famiglia – vero porto sicuro a cui attraccare in caso di necessità – è messa sempre più a dura prova. Dall’altra parte crescono i progetti di “microcredito”, per finanziare piccole iniziative in grado di far ripartire la base, e si punta sul baratto per scambiare generi di prima necessità. Succede soprattutto in Grecia, dove la mannaia dell’austerity ha piegato l’economia reale e svuotato Atene della sua anima, i suoi abitanti, rendendola una città spettrale. Ma succede anche in Spagna, dove quello dell’occupazione diventa sempre più un dramma collettivo. E poi succede in Slovacchia, in Bulgaria, nella stessa Italia, in Portogallo, a Cipro ed inizia a succedere anche in Francia. Metodi di intervento in linea con quanto affermato anche dalla Comece, gli Episcopati europei, che propone come ricetta alla crisi un “modello europeo di economia sociale di mercato”, per offrire un’efficace protezione ai più vulnerabili. Questo perché la crisi è da intendere non solo dal punto di vista economico ma anche etico-culturale, dunque antropologico. Lo dice il Consiglio delle Conferenze episcopali Europee, secondo cui non si può pensare di dialogare con il mondo affrontando solo i contenuti o i problemi; bisogna affrontare anche i presupposti culturali dei problemi. Tutti interventi che affondano le proprie radici nella solidarietà; radici che si intrecciano ad altre radici, quelle cristiane, che un’Europa distratta, ha lasciato senz’acqua e che rischiano di morire. Ah, se solo gli europei avessero fatto loro il messaggio emerso dall’Enciclica “Caritas in Veritate”! Benedetto XVI è stato un faro che ha illuminato ben oltre il limite dello sguardo, sottolineando con forza che la verità va cercata, trovata ed espressa nell'«economia» della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. L’Europa può ripartire da questo concetto. E tutti noi potremmo dire con fierezza: “Io sono Europa, noi siamo Europa”.

Salvatore Sabatino – Redazione SIC








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