Centrafrica: a Libreville slitta l'apertura dei negoziati di pace
Per motivi ‘tecnici’ è stata rinviata di qualche giorno, tra il 9 e al massimo l’11
gennaio, l’apertura dei negoziati di Libreville inizialmente prevista per ieri: lo
ha annunciato il presidente congolese Denis Sassou Nguesso, mediatore della Comunità
dei paesi dell’Africa centrale (Ceeac). “Dobbiamo lavorare instancabilmente al consolidamento
della pace in Centrafrica, portando il governo e la ribellione sulla strada del dialogo”
ha dichiarato Nguesso dopo un breve incontro avuto nella capitale gabonese con il
suo omologo centrafricano François Bozizé. “Chiediamo alla comunità internazionale
di sostenere l’iniziativa dell’Africa centrale per riportare tutta la stabilità necessaria
allo sviluppo di questo Paese fratello” ha aggiunto il capo di stato congolese, ribadendo
che “la soluzione militare non è quella giusta”. Nei giorni scorsi più di 750 soldati
della forza di interposizione dell’Africa centrale (Fomac) sono stati dispiegati a
Damara – 75 chilometri a nord di Bangui – ancora in mano alle truppe governative e
decretata dalla Ceeac “linea rossa da non superare”. I soldati inviati dai Paesi vicini
hanno come missione di arginare l’avanzata della coalizione ribelle del Seleka e monitorare
il rispetto del cessate il fuoco tra i contendenti. Dal canto suo Bozizé, di cui la
ribellione continua a chiedere le dimissioni, ha semplicemente dichiarato che la “Repubblica
Centrafricana sta vivendo momenti difficili a causa dell’aggressione di elementi esterni
chiamati Seleka”. Per Bozizé – arrivato al potere nel 2003 con un colpo di stato –
si tratta di “mercenari venuti per aggredire le quiete popolazioni centrafricane”.
Ha poi ribadito la sua fiducia “nei padri dell’Africa centrale che ascolteranno gli
uni e gli altri e vedremo cosa verrà fuori da questo dialogo”. Mentre il presidente
centrafricano è ripartito per Bangui, a Libreville è atterrato un aereo con a bordo
la delegazione dei ribelli, guidata dal capo del Seleka, Michel Djotodia. Il velivolo
fornito dalle Nazioni Unite è partito da Bria, capoluogo settentrionale controllato
dalla ribellione, e ha fatto scalo a N’Djamena. L’aereo che doveva partire da Bangui
per trasportare verso Libreville la delegazione governativa e quella dell’opposizione
democratica non è invece potuto decollare a causa di avverse condizioni meteorologiche.
Nel pomeriggio nella capitale gabonese dovrebbe tenersi una riunione dei ministri
degli Esteri dei Paesi dell’Africa centrale mentre domani è previsto un incontro del
Comitato di monitoraggio dell’Accordo di pace globale – firmato nel 2008 sempre a
Libreville tra il governo centrafricano e diversi gruppi ribelli – presieduto proprio
dal Congo. Giovedì sarà la volta dei Capi di Stato dell’organismo regionale che dovrebbero
valutare possibili soluzioni alla crisi centrafricana riaccesasi lo scorso 10 dicembre
con l’avvio di un’offensiva del Seleka che contesta il potere di Bozizé e la mancata
attuazione dei precedenti accordi di pace. La situazione instabile in Centrafrica
sta avendo le prime ripercussioni nei Paesi confinanti. L’emittente della Repubblica
Democratica del Congo ‘Radio Okapi’ ha riferito dell’arrivo in due giorni di 300 rifugiati
centrafricani a Mobayi Mbongo, nella provincia dell’Equateur (nord-ovest). Ma in tutto,
secondo le autorità locali, da quando i ribelli del Seleka hanno preso il controllo
di Bambari e Sibut, tra 2000 e 2500 civili hanno attraversato il fiume Ubangi per
rifugiarsi in territorio congolese, dove per ora sono stati accolti in famiglia. Inoltre
250 cittadini congolesi residenti a Bangui, la capitale, avrebbero deciso di fare
ritorno in patria. La stessa fonte radiofonica ha annunciato che il dispositivo di
sicurezza è stato rafforzato nella terza regione militare tra Yaloma e Zongo, lungo
il confine col Centrafrica, per evitare che il territorio congolese possa servire
da retrovia al Seleka. L'agenzia Fides ha dato oggi notizia che una giornalista della
radio comunitaria ’Bé-Oko’’ di Bambari (nel centro della Repubblica Centrafricana),
Elisabeth Blanche Olofio, è stata uccisa dai ribelli della coalizione Seleka durante
l’occupazione della città. Lo denuncia don Jean Ignace Manéngou, un sacerdote cattolico
presidente dell’Associazione delle Radio Comunitarie del Centrafrica (Arc). Sul terreno
quindi la situazione è lontana dalla stabilità come spiega al microfono di Davide
Maggiore, mons.Juan José Aguirre Muñoz, vescovo di Bangassou:
R. - La gente
è molto inquieta, perché stanno sentendo che i ribelli si stanno spostando pian piano
verso Bangassou e hanno preso le città non molto lontano da Bangassou. Speriamo che
si fermino e non arrivino a Bangassou…
D. – Lei fino a ieri era a Bangui, ha
avuto queste notizie e quindi ha deciso di tornare a Bangassou?
R. – Sì. Era
molto difficile spostarsi perché la strada è completamente interrotta. Ci sono da
una parte i militari dell’Unione africana e dall’altra i ribelli che tentano di arrivare
a Bangui. E con la strada interrotta io non potevo arrivare a Bangassou. Ieri, invece,
per una coincidenza sono riuscito a entrare a Bangassou: volevo veramente essere qui,
perché se i ribelli arrivano, voglio essere presente con la mia gente e poter sedermi
con loro, incoraggiarli, contare le loro lacrime e consolarli se succede qualcosa.
Anche a Bangui la gente era molto inquieta, c’erano i ragazzi che chiudevano le strade,
che facevano le barricate con i pneumatici e fermavano tutte le macchine… In altri
posti i ribelli sono entrati e hanno fatto del male, hanno rubato molto e speriamo
che non capiti anche altrove.
D. – Domani, dovrebbero cominciare i colloqui
in Gabon tra i rappresentanti del governo e i rappresentanti della coalizione Seleka.
Quali sono i suoi auspici, cosa ci si può aspettare?
R. – Le negoziazioni e
il dialogo sono sempre buoni. Speriamo che tutti e tre vedano sia il governo, sia
il gruppo Seleka, sia l’opposizione. Non sappiamo ancora se tutti i gruppi
ribelli accetteranno di andare, se il governo arriverà, non sappiamo quanto dureranno,
se incominciano … Continuiamo a vedere che i ribelli vanno avanti a prendere le città.
Preghiamo il Signore di trovare la pace. Qui nell’est del Centrafrica c’è un’altra
ribellione. Noi siamo presi da due ribellioni diverse: una è quella di cui abbiamo
parlato e l’altra che ci portiamo dietro da sei anni è la ribellione guidata da Joseph
Kony. Stiamo vivendo un calvario! Joseph Kony è un ugandese, che è venuto in Centrafrica
con i suoi ribelli e stanno facendo del male in metà della diocesi di Bangassou. Stiamo
vivendo momenti molto duri: villaggi bruciati, ragazzi e ragazze sequestrati e portati
nella foresta…
D. – Ritornando all’argomento dei colloqui che si dovrebbero
svolgere in Gabon, c’è chi dice che questi colloqui, potrebbero non avere effetto
perché ormai i ribelli sono molto sicuri di poter prendere in qualsiasi momento la
capitale. E’ questo un timore che c’è anche a Bangui e a Bangassou?
R. – E’
un timore perché loro sono in una posizione di forza. Loro arrivano a prendere le
città con solo due auto piene di soldati, non è che ci sia uno scontro; le forze armate
non si difendono, fuggono. Abbiamo fiducia nelle barriere che stanno facendo i soldati
delle forze armate africane e che i ribelli non vadano a combattere contro i soldati
di altri Paesi. Ma questa mattina hanno già sentito che sono molto vicini a Damara,
la città in cui sono questi soldati. Questo ci fa essere molto inquieti. Intanto viviamo
in una situazione di affogamento: non abbiamo più carburante, non abbiamo più medicinali,
non abbiamo più il telefono, non sappiamo come vanno le cose in altri posti… C’è uno
strangolamento di tutto il Paese perché molte cose partono da Bangui e vanno un po’
dappertutto. Se non partono da Bangui perché la strada è chiusa, sentiamo che non
possiamo più respirare, stiamo vivendo in questa situazione da tre settimane ormai
e non sappiamo quanto tempo potremo resistere.