"Calcio sociale", una proposta educativa per i ragazzi delle periferie delle grandi
città
Una proposta educativa che contrasti devianze criminali e sociali nelle periferie
e promuova condivisione e solidarietà. Questo è “Calcio sociale”, nato nel 2005 da
un’idea di Massimo Vallati e già attivo in tre città italiane. A Roma la sede del
progetto è nella periferia sud ovest, a Corviale, si chiama Campo dei Miracoli ed
è una struttura polivalente ancora in costruzione grazie ad una raccolta fondi. Intanto
la stagione prosegue con due tornei e 12 squadre, ma con regole del tutto particolari,
come spiega l’ideatore Massimo Vallati al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Il calcio,
in questo momento, purtroppo sta diventando uno strumento di corruzione, di illegalità,
di doping … Quindi, praticamente, la risposta al calcio moderno è il “calcio sociale”,
il calcio dell’accoglienza, dell’integrazione, della legalità.
D. – Che regole
hanno le vostre squadre?
R. – Regole diverse, per far diventare la squadra
una famiglia. Una famiglia per fare un percorso insieme, per superare insieme le difficoltà.
D.
– E infatti, le squadre sono del tutto omogenee, i rigori sono battuti da chi ha meno
dimestichezza con il pallone, non ci sono riserve perché sono tutti titolari … Un’idea
di partecipazione, un’idea di eguaglianza e di rispetto reciproci …
R. – Sì,
certamente. Ogni regola del calcio sociale parte dal campo ma va dentro la società.
Per esempio, si fanno squadre dello stesso coefficiente tecnico. Non ci sono presidenti
miliardari che possono avere quattro-cinque squadre che sole possono vincere il torneo,
ma ogni squadra ha lo stesso coefficiente, perché tutti quanti nella società dovremmo
avere i mezzi per raggiungere i nostri sogni.
D. – Quindi, come sono costituite
queste vostre 12 squadre?
R. – Ci puoi trovare il papà, la mamma; lo studente
universitario, il ragazzo con problemi fisici, il ragazzo con problemi psichici …
La differenza è la vera identità del calcio sociale: si vince insieme. Quindi, dopo
aver fatto tre gol perché sono bravo, perché sono veramente portato, devo far provare
quella sensazione, quella gioia anche ai miei compagni.
D. – Voi siete ad Arezzo,
a Scampia, nella periferia di Cagliari … Però, il vostro progetto è arrivato anche
a livello europeo e piace …
R. – A marzo abbiamo presentato il progetto alla
Comunità europea e alla Commissione sport e cultura, ed è stato il progetto più applaudito.
E dopo che è partito il primo centro di calcio sociale a Roma, ci auguriamo veramente
che tantissimi operatori, tantissime associazioni culturali che in Europa operano
nel sociale e che fanno volontariato, possano venire a Roma per capire come sia possibile
strutturare un’esperienza di calcio sociale e portarla successivamente nella propria
città.
D. – Quali sono i frutti più belli che state raccogliendo dopo tanti
anni di lavoro?
R. – Sono i miracoli. Noi abbiamo visto tanti ragazzi e tante
ragazze cambiare direzione. Quindi dalla tristezza, da problemi di droga, da problemi
psicologici, familiari nasce la forza, l’energia per sollevarsi e quindi trasformare
le difficoltà in risorse.
D. – Cosa vi chiedono quelli che vengono a proporsi
per queste selezioni che voi fate, all’inizio dell’anno?
R. – Purtroppo siamo
stati costretti a ridurre le squadre e i partecipanti per problemi economici. Per
costruire il centro servono veramente tantissimi soldi. Infatti, colgo l’occasione
per rivolgere un appello alla buona volontà delle persone affinché ci diano una mano:
oggi è possibile comprare un metro quadrato del Campo dei miracoli con 60 euro, e
la gente ci chiede di partecipare! La gente vuole essere ascoltata. Mancano progetti
di attenzione, di accoglienza reale …
D. – Parallelamente al percorso del calcio,
fate degli itinerari di discussione, di confronto e di dibattito. Quali sono gli argomenti
che trattate?
R. – C’è tantissima sete di legalità e c’è anche tanta voglia
di spiritualità, di curare l’anima. E di farlo anche con grandi personaggi che noi
siamo riusciti, negli anni, a portare al Campo dei miracoli …
D. – Quindi c’è
sete anche di modelli di giustizia, di equità, di bene? Modelli positivi …
R.
– Dobbiamo fare una grande battaglia, un grande sforzo per cercare di costruire piccoli
pezzetti di giustizia e di uguaglianza. Ma non dobbiamo mai arrenderci!