Afghanistan: domani a Washington faccia a faccia tra Obama e Karzai
Tensione in Afghanistan: in mattinata due kamikaze si sono fatti esplodere durante
una riunione di leader tribali nella provincia di Kandahar: 4 i morti, 15 i feriti.
Intanto il governo di Kabul ha dato via libera ad un vertice trilaterale con Iran
e India per lavorare alla stabilizzazione dell’area. Oggi, invece in vista del ritiro
delle truppe internazionali, in programma per il 2014, il presidente Karzai incontrerà
a Washington il capo della Casa Bianca Obama per discutere di un accordo di cooperazione
strategica da attuare a partire dall’anno prossimo. In merito Eugenio Bonanata
ha intervistato Marco Lombardi dell'Università Sacro Cuore di Milano, esperto
di politiche di sicurezza:
R. – Al centro
dei dibattiti c’è l’accordo sul ritiro americano. Apparentemente il discorso è su
quante truppe resteranno in Afghanistan – una cifra che oscilla da seimila a ventimila
a fronte delle sessantaseimila attuali. Ma dietro c’è una questione politica rilevante
che riguarda la sovranità dell’Afghanistan: qual è l’immunità degli americani che
restano sul campo? A chi rispondono delle azioni che fanno, agli americani o al governo
afghano? Sicuramente resteranno sul campo per fare operazioni antiterrorismo: ma i
prigionieri afghani accusati di terrorismo da chi saranno detenuti e controllati,
dagli americani o dagli afghani? Questo è cruciale per Karzai per dimostrare che è
lui che governa l’Afghanistan.
D. - Qual è la posizione di Karzai a riguardo?
R.
– La posizione di Karzai è di un uomo in bilico. L’Afghanistan, nel futuro, deve necessariamente
negoziare con quelle parti che noi consideriamo ancora estremiste sebbene non necessariamente
terroriste. Con i radicali si parla, con i terroristi no. Questa è una posizione che
ormai dobbiamo assumere. Karzai lo sa e quindi deve restare bilanciato tra le pressioni
americane e occidentali e le pressioni interne che saranno sempre più forti, dopo
il ritiro delle truppe, da parte di quelli che chiamiamo oggi “insurgents” e che entreranno
a far parte del “governo” afghano.
D. – Sembra che il Pentagono non voglia
ritirarsi completamente dall’Afghanistan…
R. – No, non può essere. Obama sembrerebbe
intenzionato a lasciare sul terreno intorno a diecimila. Fu lo stesso con l’Iraq nel
2011 quando si parlava di tremila soldati, ma anche lì, ci si incastrò sulla questione
della sovranità. Sicuramente l’Afghanistan non sarà lasciato solo, almeno su questi
tre punti che sono lotta al terrorismo, training delle truppe, e qualche joint operation.
A seconda di quale di queste tre azioni si punterà, si determinerà il numero e la
qualità delle truppe lasciate alle spalle.
D. - Il motivo principale è che
le forze locali hanno bisogno di appoggio per garantire la sicurezza nel Paese a fronte
dei talebani che sono sempre attivi…
R. - Sì ma non solo i talebani. Il Paese
è squassato da un’incapacità di governo evidente e lo è sempre stato. Il Paese tornerà
ad essere polverizzato in decine di tribù autonome. Questo è un dato di fatto dell’Afghanistan.
Non pensiamo che si debba restare per far la lotta al terrorismo, che è un’invenzione
del tutto nostra. Certo, perché diventi un Paese più moderno, seppur nel contesto
delle speciali relazioni in cui si trova in quel centro Asia, ha bisogno di avere
truppe trainate che rispondano a un governo legittimo. E questo forse è il compito
principale.
D. – Intanto i talebani continuano a minacciare gli americani e
le forze straniere. Come valutare la loro strategia?
R. – Non hanno vinto.
Si ritrovano in mano un terreno che è stato abbandonato - e io dico troppo tardi -
dalle truppe internazionali. E’ ovvio che rispondono in maniera propagandistica dando
come vittoria qualche cosa che gli è capitato in mano. Ma questa è una lettura. D’altro
canto c’è anche quella di che cosa accadrà dopo. E necessariamente succederà che Karzai
dovrà fare i conti con questa gente, che sono afghani legittimati a parlare con le
istituzioni.