Padre La Manna: diritto d'asilo negato di fatto in Italia, rifugiati abbandonati a
se stessi
Ora interverremo avviando i lavori per definire un progetto di inclusione sociale:
lo ha promesso il Viminale, rispondendo all’accusa rivolta all’Italia da un recente
reportage dell’ “International Herald Tribune”, di riconoscere abbastanza facilmente
ai richiedenti il diritto di asilo, ma poi di dimenticarli non assicurando loro le
condizioni minime per una esistenza dignitosa. Un esempio sono gli oltre 800 profughi,
fuggiti da guerre e persecuzioni in Sudan, Etiopia, Eritrea e Somalia, che si trovano
a vivere a Roma in un edificio fatiscente, il Salaam Palace, dove c’è un bagno ogni
250 persone. Un paradosso, quello italiano, denunciato da anni in particolare dal
“Tavolo nazionale Asilo” a cui aderiscono diverse associazioni, tra cui il Centro
Astalli. Adriana Masotti ha intervistato il presidente del Centro, padre
Giovanni La Manna:
R. – Ci rallegriamo
per il fatto che le commissioni per il diritto di asilo lavorino seriamente. Il fatto
è che bisogna scalfire politiche che formalmente riconoscono il diritto all’asilo
mentre poi di fatto lo negano. Inoltre, l’Italia ora attraversa un periodo di crisi,
ma il fatto che non ci sia la possibilità di accogliere dignitosamente queste persone
è datata nel tempo. E’ da anni che l’Italia ha un numero limitato di posti e sono
rimasti quelli, nonostante negli anni ci sia stato un aumento di arrivi. Questo a
me dice della mancanza di una volontà di governare questo fenomeno. La conseguenza
è che poi si fa fatica ad accogliere con dignità, ad offrire opportunità oneste a
queste persone per rimettersi in piedi e rifarsi una vita.
D. – Ci sono dei
casi anche emblematici: a Roma, ad esempio, la situazione del Salaam Palace, gli afghani
alla Stazione Ostiense, i somali nell’edificio abbandonato dell’ex-ambasciata somala:
tutte situazioni di grande disagio e degrado …
R. – E’ una situazione che perdura
nel tempo. Il problema è che il governo è responsabile di accogliere - è il governo
italiano, infatti, che riconosce il diritto all’asilo politico – e, dunque, non è
corretto scaricare poi sui territori la responsabilità, soprattutto con i tagli che
ci sono stati in questi anni. Le persone rimangono persone, con i propri bisogni;
cercano perciò di adattarsi, cercano di trovare un luogo dove poter vivere. Il governo
italiano dovrebbe arrivare a stabilire politiche in grado di consentire ai territori
di accogliere. Questo per anni non si è fatto e questo è il momento, forse, un’opportunità
per decidere di mettere mano alla questione del diritto di asilo. Ricordo che l’Italia
è firmataria della Convenzione di Ginevra, però è mancante di una legge organica sul
diritto all’asilo politico.
D. – Oltre ai casi che abbiamo ricordato, è ancora
aperto il problema dell’emergenza Nord Africa: cioè tutte quelle persone, provenienti
soprattutto dalla Tunisia, che l’Italia ha accolto e che ora non si sa a chi verranno
‘scaricati’, perché stanno scadendo i termini del programma di protezione umanitaria
temporanea posto in essere dall’ Italia …
R. – Sì, ma soprattutto bisogna riferirsi
a quanti sono scappati dalla Libia in guerra. Queste persone sono state tenute per
un anno in alcuni centri, e finalmente, dopo un anno, è arrivata la decisione di dare
una protezione a queste persone. Ora noi rimaniamo in attesa di vedere cosa succede
dopo il termine ufficiale dell’accoglienza, che è stata prorogata ai primi mesi del
2013. E’ stato perso un anno, penalizzando queste persone che, molto probabilmente,
si ritroveranno fuori dal circuito di accoglienza e non avranno avuto il tempo necessario
per realizzare una loro autonomia.
D. – Nei giorni scorsi, il Viminale ha promesso
che ci sarà qualche intervento a favore dei rifugiati, in particolare di quelli che
vivono nel Salaam Palace. Che speranze ci sono?
R. – I problemi si conoscono:
è da anni che il “Tavolo nazionale asilo” opera per dire al governo cosa bisognerebbe
fare … Adesso è il momento di operare fattivamente per rispettare la dignità e i diritti
di queste persone.