Alcoa: cassa integrazione solo per i lavoratori diretti, esclusi quelli dell'indotto
Via libera alla cassa integrazione straordinaria per i 500 dipendenti diretti dell’ex
Alcoa di Portovesme. Disattesa, però, dal provvedimento ratificato ieri presso il
Ministero del lavoro, la richiesta dei sindacati di estendere la cassa integrazione
anche alle centinaia di lavoratori delle ditte d’appalto. Il dramma dell’azienda,
visitata prima di Natale dal cardinale segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone,
si aggiunge a quello degli operai della ex Rockwool di Iglesias, che per protesta
si sono murati vivi nella galleria di Monteponi. Sulla ratifica della cassa integrazione
per i lavoratori diretti dell’Alcoa, Paolo Ondarza ha intervistato don Salvatore
Benizzi, direttore dell’Ufficio problemi sociali e lavoro della diocesi di Iglesias:
R. - La cassa
integrazione è un dato positivo molto relativo rispetto a ciò che si perde, diciamo
che rappresenta quel minimo per non disperarsi. La cassa integrazione dell’Alcoa si
aggiunge alla cassa integrazione dell’Eurallumina; e non dobbiamo dimenticare i lavoratori
della Rockwool, che sono trincerati dentro una galleria e si sono murati vivi. Sono
tutti segni che, certamente, non portano a quella speranza di cui parlava il cardinale
Bertone quando pochi giorni fa ha visitato i lavoratori.
D. - Al tavolo presso
il Ministero del lavoro non è stata trovata una soluzione per le centinaia di lavoratori
delle ditte di appalto. Come mai?
R. - Perché erano assenti, non si sono presentati
al tavolo della trattativa, né i Mise - Ministero dello Sviluppo Economico - tantomeno
la Regione Sardegna. Questo ci fa molto male, perché se mancano anche gli aiuti da
parte di quelli di casa nostra siamo proprio alla fine.
D. - I lavoratori
si sentono lasciati soli…
R. - Sono molto scoraggiati, delusi di questa mancata
presenza e di questa non volontà di voler mettere sul piatto anche la disperazione
e le disgrazie dei lavoratori delle ditte di appalto.
D. - Vogliamo ricordare
il dramma umano che si sta vivendo ad Iglesias, a causa della disoccupazione, della
mancanza di lavoro…
R. - Le leggo, adesso, una lettera che è stata data al
cardinale Bertone dopo la sua visita all’Alcoa. Si tratta della figlia di una persona
espulsa dall’attività lavorativa: “Non crediamo più in niente: classe politica, Dio…
Quale Dio? Il mio Dio non avrebbe permesso ai miei occhi di vedere mio padre morire
mentalmente e fisicamente. Ha solo 50 anni. Una vita fatta di sacrifici, per che cosa?
Senza lavoro non è Natale, non è vita. Ci stanno portando via tutto, compreso l’orgoglio”.
Questa è la figlia di uno di quei minatori della Rockwool, murati vivi per protesta.
Cosa vuole che le dica: anche noi, come Chiesa, siamo senza parole, siamo vicini e
- in questo caso - in religioso silenzio. Sappiamo perfettamente che le risposte non
stanno direttamente nel fatto religioso, il lavoro è qualcosa che ti danno e ti tolgono,
che prescinde dal fatto di credere o non credere. È stato un Natale molto molto triste
per noi, perché oltre ad essere il territorio più povero, siamo anche il territorio
che diventa sempre più povero; speriamo inoltre che non scoppino situazioni di reazioni
fuori di testa. Speriamo che non accada.