2012-12-25 12:22:38

Il card. Sarah: in Siria la gente patisce sofferenze atroci. La Chiesa è in mezzo ai profughi


"Un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti". Così il Papa ha definito, durante la preghiera dell'Urbi et Orbi di martedì mattina, il dramma che da troppo tempo sta vivendo la Siria, invocando per essa la possibilità di "una soluzione politica". Sia la Chiesa locale, sia Benedetto XVI in prima persona non hanno fatto mancare alla popolazione della Siria sostegno e solidarietà concreta. Ne parla in questa intervista il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontifcio Consiglio Cor Unum, di recente testimone diretto della crisi tra i profughi siriani in Libano:

R. - Ho visitato gruppi di profughi nella valle della Bekaa il mese scorso e già allora la situazione era estremamente grave. Le loro condizioni di vita erano estremamente precarie, senza acqua, elettricità, servizi sanitari e l’igiene era disastrosa. Nonostante ciò, sono stato profondamente colpito dalla grande dignità di quegli uomini e quelle donne, profughi in un Paese straniero, rifugiati, costretti a lasciare le proprie case, il proprio villaggio, la loro amata madre Patria, la Siria, dopo un pericoloso viaggio di centinaia, talvolta di migliaia di chilometri. Ora, dopo la mia visita, la situazione è ulteriormente peggiorata. L’inverno è ormai cominciato, con le sue inevitabili conseguenze e il conflitto si inasprisce sempre più, con tutto il suo carico di violenze, di sofferenze atroci e di morte. I dati che vengono resi pubblici da varie fonti paiono concordi nel rilevare che si sarebbero superate le 40 mila vittime, senza contare i due milioni di sfollati all’interno della Siria e i 500 mila rifugiati che cercano protezione, sicurezza e una vita decente nei Paesi limitrofi. I nostri continui contatti con le Chiese del Medio Oriente e con varie realtà caritative locali, impegnate soprattutto nell’assistenza ai profughi dentro e al di fuori del Paese, ci trasmettono informazioni allarmanti sui nuovi fronti di guerra, sulle condizioni materiali, psicologiche e spirituali, di insicurezza, igienico-sanitarie in cui è ormai costretta a vivere la gran parte della popolazione, sugli abusi di ogni genere che subiscono, rendendoli in tal modo spesso doppiamente vittime.

D. - Concretamente, cosa può fare la Chiesa in queste situazioni?

R. - Benedetto XVI in persona ha visitato il Libano in settembre, mantenendo un’attenzione a tutta la regione e non ha mancato di rinnovare le sue preghiere, i suoi richiami, la sua esplicita richiesta perché la pace torni quanto prima in Siria. In occasione del Santo Natale, con uno sguardo particolare ai bambini, non ha mancato di esprimere tutta la sua vicinanza spirituale e affettiva alle popolazioni e ha manifestato la sua preoccupazione per gli sviluppi e l’aggravamento della crisi siriana. Il rischio peraltro è che questo letale conflitto comprometta pericolosamente tutto il delicato equilibrio di una regione del mondo che gli sta particolarmente a cuore. Durante la mia visita in Libano e successivamente, mi sono convinto sempre più di quanto siano importanti le preghiere, le parole e le azioni. Gli appelli alla pace e alla riconciliazione, rivolti dal Santo Padre alle parti in guerra, alla comunità internazionale perché si attivi più efficacemente, sono stati sufficientemente chiari. La guerra e le distruzioni di vite umane e di infrastrutture non portano a una vera soluzione dei problemi socio-politici. Questo è possibile solo col dialogo e con la volontà di costruire insieme la Nazione nell’amore e nella solidarietà. La Chiesa auspica che azioni militari come quelle che si sono effettuate in Iraq, in Libia, in Costa d’Avorio, non si ripetano. “Mai più la guerra”, ha gridato Paolo VI nel 1965 a New York. Benedetto XVI lancia oggi lo stesso grido. La Chiesa persegue le sue azioni umanitarie a favore delle vittime di questo conflitto attraverso l’attività eroica e generosa di numerosi organismi caritativi cattolici impegnati sul posto sin dal primo momento in cui il conflitto ha cominciato a mietere vittime innocenti. In qualche modo traducono la triplice missione della Chiesa in concretezza. Tutto quello che possiamo fare adesso concretamente per queste persone, dobbiamo farlo. Sia per il loro bene materiale, sia per il loro bene spirituale. Un aiuto aperto a tutti. Come ci insegna Papa Benedetto, nell’Enciclica Deus Caritas Est, l’amore del prossimo si estende alle persone che neppure conosciamo e questo può realizzarsi solo a partire dal nostro intimo incontro con Dio.

D. - Secondo lei, questa crisi è la punta di un iceberg molto più grande o è un caso a sé?

R. - Ogni guerra è diversa dalle altre e ha una storia, delle dinamiche specifiche di quella situazione. Anche gli attori che si mobilitano, locali e internazionali, hanno interessi propri. In questo senso anche la Siria è un caso unico, molto complesso, le cui cause e peculiarità vanno studiate e analizzate; e le azioni che mirano a ricostruire la pace, vanno condotte con la massima prudenza e attenzione. D’altro canto, non si può negare che in genere abbiamo raggiunto un livello di crisi umanitarie in tutto il mondo senza precedenti nella storia recente, sia per quanto riguarda il numero delle guerre e delle situazioni di conflittualità armata, sia per ciò che attiene alle calamità naturali. Sono circa 70 le crisi umanitarie in atto, un picco mai raggiunto dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino ad oggi. Questo dato, confermato dalla testimonianza delle Chiese locali e dalle organizzazioni caritative cattoliche che quotidianamente si rivolgono a Cor Unum, con tutto il loro carico di sofferenze vissute accanto alle vittime di tali situazioni, risulta essere ancor più doloroso in un momento in cui il mondo dovrebbe invece gioire per la venuta del Signore Gesù, il “Dio-con-noi”. Lui è “la nostra pace”, distrugge le barriere che ci separano, e “sopprime nella sua carne l’odio”, come dice S. Paolo. Questa è la “bella notizia” che ci porta il Signore e che noi vorremmo offrire al mondo intero. Questo è il motivo per cui occorre alzare la nostra voce verso Dio, lanciarci, corpo e anima, in un impegno d’amore attivo e concreto verso ogni essere umano. E’ l’ora di una nuova “fantasia della carità” che si realizzi non solo con azioni pratiche ed efficaci, ma anche con la capacità di farsi prossimi, di essere solidali con chi soffre, è povero e debole, in modo tale che il gesto d’aiuto non umili, ma sia frutto di vera condivisione fraterna (Novo Millennio Ineunte, n. 50).

D. - Anche perché sono proprio i bambini le vittime più innocenti… Quali casi sono i più nuovi e allarmanti?

R. - Certamente, questo è lo scandalo più grave. Nelle guerre, i civili inermi vengono sempre più strumentalizzati per perseguire fini militari, su di loro viene perpetrato ogni sorta di abuso e i bambini sono proprio le vittime più indifese e meno tutelate, più facili da utilizzare e conoscono tragicamente la fame e la malnutrizione. Gli esempi si moltiplicano: ci sono conflitti ciclici, guerre “infinite”, mentre altri sono nuovi e si aggiungono ai primi. Un esempio particolarmente grave di crisi umanitaria complessa, che coinvolge più Nazioni, è quello del Sahel dove sarebbero circa 18 milioni le persone colpite dalla crisi alimentare, conseguenza della gravissima siccità che ha investito nove Paesi nella regione africana del Sahel: interi territori di Ciad, Burkina Faso, Gambia, Mauritania, Mali e Niger e le regioni settentrionali di Nigeria, Camerun e Senegal. Quattro milioni di bambini tra 0 e 5 anni sono stimati essere a rischio di qualche forma di malnutrizione e 1,1 milioni di loro sono esposti al rischio di morte per malnutrizione acuta, cioè lo stato più pericoloso delle diverse forme di carenza alimentare. Ormai, la loro sopravvivenza dipende quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari, portata anche da vari organismi caritativi cattolici. Nel Mali la situazione è aggravata dalla crisi militare che ha provocato circa 450 mila tra sfollati e profughi. Nei Paesi colpiti, la malnutrizione dei bambini e dei decessi infantili è effetto non solo della quantità e qualità del cibo disponibile, ma anche della mancanza di adeguati servizi sanitari e al carente accesso della popolazione all'acqua potabile e ai servizi igienici di base. Ecco perché la nostra carità si deve fare più attenta, più concreta e più profonda: nello sguardo di questi bambini troveremo quello di Gesù. In questa grande festa di Natale, a nome delle migliaia di bambini, donne, anziani che muoiono di fame e di freddo in Siria e nei Paesi del Sahel, vengo a sollecitare tutti governi e le istituzioni che hanno possibilità finanziarie, affinché offrano un sostegno generoso per salvare intere popolazioni dal disastro della guerra e delle catastrofi naturali. Così, in occasione della festa del Natale e in vista del nuovo anno, la carità delle opere darà una forza incomparabile alla carità delle parole. Buon Santo Natale e felice anno nuovo a tutti!

Ultimo aggiornamento: 27 dicembre







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