2012-12-24 14:33:53

Centrafrica: i ribelli conquistano un'altra città. A rischio la capitale


Situazione incerta nella Repubblica Centrafricana: i ribelli della coalizione Seleka hanno nuovamente proclamato una sospensione delle operazioni belliche per permettere alle Ong, affermano in un comunicato, di soccorrere gli sfollati. Ma una dichiarazione simile era stata già diramata nei giorni scorsi e poi era stata smentita, tanto che ieri i ribelli hanno conquistato la terza città, Bambari, nel centro-sud, una delle principali del Paese. Il governo, da parte sua, condiziona l’avvio di negoziati al ritiro di Seleka dalle zone occupate. L’opposizione armata ha ripreso la via della guerra accusando il governo di aver disatteso le sue promesse circa l’inserimento degli insorti nelle file dell’esercito regolare. Ma c’è la possibilità che i ribelli conquistino anche la capitale, Bangui? Sergio Centofanti lo ha chiesto al sacerdote centrafricano don Mathieu Fabrice Evrard Bondobo:RealAudioMP3

R. – Se le cose continuano così, il pericolo c’è ai massimi livelli. Infatti, dalle notizie che ho ricevuto sembra che i ribelli abbiano preso queste città senza grande resistenza da parte dell’esercito nazionale e quindi questo favorisce la loro avanzata. Se, dunque, l’esercito non cerca di impedire l’avanzata dei ribelli, il pericolo è altissimo. Ma secondo le notizie, sembra che il governo attuale abbia chiesto aiuto al Ciad, un Paese vicino al mio, e sembra che il Ciad abbia mandato soldati per appoggiare il nostro esercito per impedire l’avanzata dei ribelli. Quindi, se il dialogo e il cessate-il-fuoco non arrivano a buon fine, ovviamente il rischio c’è.

D. – Ci sono anche interessi internazionali?

R. – Di sicuro. Però, per adesso questi interessi internazionali non sono chiari. Di sicuro ci sono, in sottofondo, perché la terra è ricca: in una delle città prese da questi ribelli ci sono giacimenti di diamanti. Per esempio la città di Bria: la terra è ricca! E’ ovvio che ci siano interessi: quando c’è la ricchezza – diamanti, oro – accade così. Se il Paese fosse povero, come farebbe a portare avanti una guerra, nutrire i ribelli, acquistare armi eccetera? Anche questa è una questione aperta …

D. – Il Paese ha tante risorse naturali. Ma la gente, in Centrafrica, come vive?

R. – L’80 per cento della gente vive di agricoltura, perché non ci sono grandi fabbriche, grandi industrie, in Centrafrica. Però, i prodotti agricoli non sono destinati al commercio: sono destinati al consumo degli stessi cittadini centrafricani. Ma pur essendo ricca la terra, non disponiamo di grandi mezzi per fare uso delle ricchezze che abbiamo. Ci sono grandi progetti, ma ancora sulla carta: si parla di petrolio … Speriamo bene e che i lavori possano andare a buon fine per favorire lo sviluppo del Paese.

D. – C’è povertà nel Paese?

R. – Sì. Diciamo che negli ultimi 20 anni le cose sono cambiate in peggio. 20 anni fa, la scuola andava bene, i dipendenti statali avevano un buono stipendio, regolare, alla fine del mese. Poi, pian piano, le cose sono cambiate: chi lavora non è sempre sicuro di ricevere il suo stipendio, alla fine del mese. C’è questa crisi, forte. Anche se ultimamente le cose stanno cambiando: infatti, il governo attuale si sta impegnando a pagare gli stipendi regolarmente, ogni mese. Però, in termini generali, c’è ancora molto da fare.

D. – Che cosa fa la Chiesa del Centrafrica in questa difficile situazione?

R. – La Chiesa ha sempre avuto un ruolo di grande importanza nella vita di questo Paese, e questo fin dalle sue origini. La storia ci dice che il presidente fondatore della Repubblica centrafricana era un sacerdote, stiamo parlando dell’epoca coloniale. Per poter entrare in politica, dovette chiedere al Vaticano di lasciare il sacerdozio, perché sappiamo che non si può fare politica ed essere sacerdote. Quindi, chiese di poter lasciare il sacerdozio per lottare politicamente per l’indipendenza, la libertà e la dignità di questo popolo. Per questo, c’è grande rispetto nei riguardi della Chiesa. Nei periodi di conflitto, come quello attuale, la Chiesa spesso offre lo spazio per una mediazione, per il dialogo, oltre alla preghiera. La Chiesa offre sempre la sua mediazione. Ricordo che nel ’95-’96, quando c’erano problemi e difficoltà simili agli attuali, i negoziati sono avvenuti nella sede vescovile della capitale. Ecco, questo è uno spazio offerto dalla Chiesa.

D. – Come il Centrafrica vivrà il Natale, in questo momento di guerra?

R. – Penso che sarà un Natale molto difficile, a livello psicologico. Ma siccome il popolo è molto credente, può essere anche un’occasione per elevare una preghiera forte a Dio affinché ponga fine a questa guerra.

D. – Quali sono, a questo punto, le sue speranze di sacerdote centrafricano?

R. – Da sacerdote, la mia speranza è sempre quella che ogni cristiano deve avere: mai più la guerra. Mi viene in mente il grido di Paolo VI, ripreso da Giovanni Paolo II: “Mai più la guerra!”. La guerra è una cosa terribile. E quindi la speranza è che questi momenti difficili, come la guerra che stiamo vivendo, finiscano presto e che il popolo del Centrafrica possa vivere nella pace, ma una pace duratura, vera; che possa vivere nella gioia, e che la pace possa anche sostenere lo sviluppo di questo Paese. Perché se c’è la guerra, se ci sono sempre questi conflitti, è difficile parlare di sviluppo, perché è sempre il popolo che soffre. Ma noi dobbiamo impegnarci a convincere chi non è in favore della pace, chi vuole la guerra: ci sono persone che ricevono denaro per combattere, e su queste bisogna intervenire.







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