Centrafrica: i ribelli conquistano un'altra città. A rischio la capitale
Situazione incerta nella Repubblica Centrafricana: i ribelli della coalizione Seleka
hanno nuovamente proclamato una sospensione delle operazioni belliche per permettere
alle Ong, affermano in un comunicato, di soccorrere gli sfollati. Ma una dichiarazione
simile era stata già diramata nei giorni scorsi e poi era stata smentita, tanto che
ieri i ribelli hanno conquistato la terza città, Bambari, nel centro-sud, una delle
principali del Paese. Il governo, da parte sua, condiziona l’avvio di negoziati al
ritiro di Seleka dalle zone occupate. L’opposizione armata ha ripreso la via della
guerra accusando il governo di aver disatteso le sue promesse circa l’inserimento
degli insorti nelle file dell’esercito regolare. Ma c’è la possibilità che i ribelli
conquistino anche la capitale, Bangui? Sergio Centofanti lo ha chiesto al sacerdote
centrafricano don Mathieu Fabrice Evrard Bondobo:
R. – Se le cose
continuano così, il pericolo c’è ai massimi livelli. Infatti, dalle notizie che ho
ricevuto sembra che i ribelli abbiano preso queste città senza grande resistenza da
parte dell’esercito nazionale e quindi questo favorisce la loro avanzata. Se, dunque,
l’esercito non cerca di impedire l’avanzata dei ribelli, il pericolo è altissimo.
Ma secondo le notizie, sembra che il governo attuale abbia chiesto aiuto al Ciad,
un Paese vicino al mio, e sembra che il Ciad abbia mandato soldati per appoggiare
il nostro esercito per impedire l’avanzata dei ribelli. Quindi, se il dialogo e il
cessate-il-fuoco non arrivano a buon fine, ovviamente il rischio c’è.
D. –
Ci sono anche interessi internazionali?
R. – Di sicuro. Però, per adesso questi
interessi internazionali non sono chiari. Di sicuro ci sono, in sottofondo, perché
la terra è ricca: in una delle città prese da questi ribelli ci sono giacimenti di
diamanti. Per esempio la città di Bria: la terra è ricca! E’ ovvio che ci siano interessi:
quando c’è la ricchezza – diamanti, oro – accade così. Se il Paese fosse povero, come
farebbe a portare avanti una guerra, nutrire i ribelli, acquistare armi eccetera?
Anche questa è una questione aperta …
D. – Il Paese ha tante risorse naturali.
Ma la gente, in Centrafrica, come vive?
R. – L’80 per cento della gente vive
di agricoltura, perché non ci sono grandi fabbriche, grandi industrie, in Centrafrica.
Però, i prodotti agricoli non sono destinati al commercio: sono destinati al consumo
degli stessi cittadini centrafricani. Ma pur essendo ricca la terra, non disponiamo
di grandi mezzi per fare uso delle ricchezze che abbiamo. Ci sono grandi progetti,
ma ancora sulla carta: si parla di petrolio … Speriamo bene e che i lavori possano
andare a buon fine per favorire lo sviluppo del Paese.
D. – C’è povertà nel
Paese?
R. – Sì. Diciamo che negli ultimi 20 anni le cose sono cambiate in peggio.
20 anni fa, la scuola andava bene, i dipendenti statali avevano un buono stipendio,
regolare, alla fine del mese. Poi, pian piano, le cose sono cambiate: chi lavora non
è sempre sicuro di ricevere il suo stipendio, alla fine del mese. C’è questa crisi,
forte. Anche se ultimamente le cose stanno cambiando: infatti, il governo attuale
si sta impegnando a pagare gli stipendi regolarmente, ogni mese. Però, in termini
generali, c’è ancora molto da fare.
D. – Che cosa fa la Chiesa del Centrafrica
in questa difficile situazione?
R. – La Chiesa ha sempre avuto un ruolo di
grande importanza nella vita di questo Paese, e questo fin dalle sue origini. La storia
ci dice che il presidente fondatore della Repubblica centrafricana era un sacerdote,
stiamo parlando dell’epoca coloniale. Per poter entrare in politica, dovette chiedere
al Vaticano di lasciare il sacerdozio, perché sappiamo che non si può fare politica
ed essere sacerdote. Quindi, chiese di poter lasciare il sacerdozio per lottare politicamente
per l’indipendenza, la libertà e la dignità di questo popolo. Per questo, c’è grande
rispetto nei riguardi della Chiesa. Nei periodi di conflitto, come quello attuale,
la Chiesa spesso offre lo spazio per una mediazione, per il dialogo, oltre alla preghiera.
La Chiesa offre sempre la sua mediazione. Ricordo che nel ’95-’96, quando c’erano
problemi e difficoltà simili agli attuali, i negoziati sono avvenuti nella sede vescovile
della capitale. Ecco, questo è uno spazio offerto dalla Chiesa.
D. – Come il
Centrafrica vivrà il Natale, in questo momento di guerra?
R. – Penso che sarà
un Natale molto difficile, a livello psicologico. Ma siccome il popolo è molto credente,
può essere anche un’occasione per elevare una preghiera forte a Dio affinché ponga
fine a questa guerra.
D. – Quali sono, a questo punto, le sue speranze di sacerdote
centrafricano?
R. – Da sacerdote, la mia speranza è sempre quella che ogni
cristiano deve avere: mai più la guerra. Mi viene in mente il grido di Paolo VI, ripreso
da Giovanni Paolo II: “Mai più la guerra!”. La guerra è una cosa terribile. E quindi
la speranza è che questi momenti difficili, come la guerra che stiamo vivendo, finiscano
presto e che il popolo del Centrafrica possa vivere nella pace, ma una pace duratura,
vera; che possa vivere nella gioia, e che la pace possa anche sostenere lo sviluppo
di questo Paese. Perché se c’è la guerra, se ci sono sempre questi conflitti, è difficile
parlare di sviluppo, perché è sempre il popolo che soffre. Ma noi dobbiamo impegnarci
a convincere chi non è in favore della pace, chi vuole la guerra: ci sono persone
che ricevono denaro per combattere, e su queste bisogna intervenire.