Il Papa e il “gender”. Mons. Forte: non si può inventare a piacimento la verità sull’uomo
Hanno suscitato molte reazioni nel mondo le affermazioni di Benedetto XVI, contenute
nel suo discorso alla Curia Romana. Nel difendere la natura della famiglia tradizionale,
Benedetto XVI ha definito in particolare la cosiddetta “teoria di genere” una antropologia
segnata da una “profonda erroneità”. Su questo concetto Alessandro De Carolis
ha chiesto un commento al vescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte:
R. – Credo che
tutti gli italiani abbiano apprezzato la riflessione che ha fatto Benigni quando,
commentando i principi fondamentali della Costituzione italiana – che sono veramente
eccellenti – ha messo in luce con forza come, nell’articolo 2, si dice che la Repubblica
“riconosce i diritti inviolabili della persona umana”. Questo “riconoscere” è un verbo
molto importante, perché dice che questi diritti non sono inventati, ma sono radicati
nella stessa natura umana. Ora, Papa Benedetto ha detto esattamente la stessa cosa
riguardo alla famiglia, alla reciprocità maschile-femminile, alla procreazione degli
esseri umani. In altre parole, egli ha detto: “Rispettiamo la verità scritta nell’essere
delle cose, non pensiamo che la verità sull’uomo possa essere di volta in volta inventata
a seconda degli interessi del momento o delle logiche più o meno utilitaristiche in
gioco. Se si rinuncia a questo, ogni barbarie diventa possibile, perché ognuno può
inventare l’idea di uomo che preferisce e su questa poi costruire il suo castello
di carte, che però può tradursi, ahimè, a volte anche in drammatiche conseguenze pagate
dalle stesse persone umane.
D. – Difendere Dio, ha detto ieri il Papa, è difendere
l’uomo. Negarlo, dissolve la dignità dell’uomo stesso. Secondo lei, quanta coscienza
c’è oggi di questo pericolo?
R. – Temo che questo, sul piano della coscienza
diffusa, sia piuttosto oscurato, perché se si avesse più coscienza della profondità
di ciò che è scritto come Verità nell’essere umano – ed è scritto dal suo Creatore
– naturalmente ci sarebbe anche maggiore rispetto nel riconoscimento di questi inviolabili
diritti e doveri dell’essere umano, di questa vocazione originaria che Dio ha scritto
nel cuore umano. Certamente, richiamare questa verità in un momento storico in cui
la crisi dei grandi sistemi ideologici ha prodotto una notevole frammentazione – e
quindi un trionfo di solitudini, ciascuna con la pretesa di poter in qualche modo
governare il tutto – diventa un messaggio controcorrente. Ma non sta scritto da nessuna
parte che la Chiesa, e il Papa in particolare, debbano parlare per piacere agli uomini:
bisogna parlare per piacere a Dio. E credo che il Papa lo faccia. Questo credo che
sia al tempo stesso la sua grande forza e, agli occhi di certi media, la sua debolezza.
Ma naturalmente, non per il giudizio di alcuni media o di alcune persone che creano
le opinioni, noi dobbiamo ritenere che il Papa debba rinunciare a fare il suo dovere
di testimone di Cristo, della sua verità, chiamato a confermare i fratelli nella fede.
D.
– Volere accampare un diritto che arriva a sfidare la stessa logica non sembra un’operazione
così innocente. Come si può fare nuova evangelizzazione in un contesto culturale che
preme per negare, in fondo, l’idea di un Creatore perfino nei fondamenti della creatura
uomo-donna?
R. – Io sono convinto che il bene abbia una forza irradiante e
vada perciò proposto soprattutto per la testimonianza serena, convinta, in questo
senso contagiosa. Credo che più che recriminare, sia necessario proporre: in fondo,
questo è l’aspetto dominante del magistero di Papa Benedetto. Il grande “sì” di Dio
è quello che egli ripete continuamente. Purtroppo, i media – nella loro recezione
– spesso si fermano soltanto su delle inevitabili ricadute negative di questo messaggio,
cioè su dei “no” che ne conseguono, come appunto il “no” a questa teoria del “genere”,
riduttiva della struttura originaria dell’essere umano. Ma in realtà, il messaggio
è quello positivo, ed è questo messaggio che poi, nel quotidiano contatto pastorale
con la gente, noi dobbiamo e possiamo trasmettere. E devo dire che è recepito proprio
nella misura in cui i testimoni siano credibili.
D. – Contro le derive della
“civiltà dell’oblio”, come l’ha chiamata il Papa, Benedetto XVI ha indicato il baluardo
della memoria e il Natale vicino ricorda che i cristiani hanno duemila anni da cui
poter trarre valori e testimonianze…
R. – Certamente. Mi sembra che il comando
biblico “Non dimenticare” sia un comando fondamentale. Lo esprimerei con una metafora
cara ai medievali: noi siamo come nani sulle spalle dei giganti. Grazie a loro, guardiamo
più lontano di loro. I giganti sono quelli che ci hanno preceduti. Se noi facciamo
memoria di quanto ci ha preceduto – ed è fondamentalmente il grande dono della Rivelazione,
la sua grande trasmissione nella comunione della Chiesa nel tempo – noi abbiamo un
fondamento su cui poggiarci e da cui guardare in avanti, che ci apre veramente alla
profezia e alla speranza.