Ultima udienza generale dell'anno: Dio non si rivela nel trionfo ma nell'umiltà che
vince le potenze del mondo
Nell’ultima udienza generale dell'anno, la 43.ma, tenuta stamani in Aula Paolo VI,
Benedetto XVI ha svolto una catechesi sulla figura di Maria nel contesto dell’Avvento:
“la Vergine Maria – ha sottolineato - occupa un posto particolare come colei che in
modo unico ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede
e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi
vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande mistero
dell’Annunciazione”.
Il Papa ricorda le parole - riportate dall’evangelista
Luca - con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria: «Chaîre kecharitomene, ho
Kyrios meta sou», «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). “A
prima vista – ha detto - il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto,
com'era usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione
biblica, acquista un significato molto più profondo. Questo stesso termine è presente
quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di
gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il saluto
dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia
la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza,
alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà
divina. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella”.
“Ma
perché – chiede il Papa - Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta
è nella seconda parte del saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere
bene il senso dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro
di Sofonia troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele
è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente»
(3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia
di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo,
nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo e Maria si realizza esattamente
questa promessa: Maria è identificata con il popolo sposato da Dio, è veramente la
Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta definitiva di Dio,
in lei prende dimora il Dio vivente”.
Nel saluto dell’angelo – ricorda il
Papa - Maria viene chiamata “piena di grazia”; “in greco – spiega - il termine ‘grazia’,
charis, ha la stessa radice linguistica della parola ‘gioia’. Anche in questa espressione
si chiarisce ulteriormente la sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene
dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così
vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione
di Dio. Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore,
si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione
con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel
cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse
di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si sottomette liberamente
alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede”.
Il Papa
sottolinea che “l’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo
con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha
risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui viveva, dalle sue sicurezze,
per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo nella promessa
divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero
di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti”.
Sottolinea poi un altro
aspetto importante: “l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include
anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella
la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti
alla profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili
le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui che - come Maria – è aperto in modo totale
a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso
non corrisponde al nostro proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come
profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato
al Tempio (cfr Lc 2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia
per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire
sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il
figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano
contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato
tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele
alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile,
quasi impossibile da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione,
ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere
fino alla luce della Risurrezione”.
Quindi aggiunge: “Non è diverso anche per
il cammino di fede di ognuno di noi: incontra momenti di luce, ma incontra anche passaggi
in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà
non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a
Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia -
come Abramo e come Maria - tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di
vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e
del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché
la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni”.
Benedetto
XVI si è quindi soffermato ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’Infanzia
di Gesù narrati da san Luca: “Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al
Tempio, per presentarlo e consacrarlo al Signore come prescrive la legge di Mosé:
«Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della
Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della
scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato
nel Tempio a discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria
e Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati,
ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non
sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,48-49)". Maria - ha proseguito
- deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione; deve accettare
che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero
quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla
volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino
al momento più difficile, quello della Croce”.
“Davanti a tutto ciò – prosegue
il Papa - possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al
Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia
nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò
che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole
dell’angelo - è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di
Dio –, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere.
Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il termine
greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama
la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo
con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente,
ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere
ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento
interiore di Maria di fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di
san Luca, al momento della nascita di Gesù, dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma
che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19)". Potremmo
dire - ha proseguito - che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti
gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola,
ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che
tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione
superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia
interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione
che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria,
che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia
Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della
parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua
fede che tutte le generazioni la chiameranno beata”.
“La solennità del Natale
del Signore che tra poco celebreremo – conclude il Papa - ci invita a vivere questa
stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo
e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo,
ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino.
L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa,
della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel
Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo”.