L'Onu chiede di proteggere i diritti degli immigrati
Sono 214 milioni le persone che ogni anno si spostano in cerca di un futuro migliore,
di un lavoro, di una vita diversa. E’ il dato che il segretario generale dell’Onu,
Ban Ki-moon, ha voluto ricordare nel suo messaggio in occasione della Giornata internazionale
del Migrante. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha esortato la politica ad adottare
misure che depenalizzino l’immigrazione irregolare. Benedetta Capelli ne ha
parlato con Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati:
R. – La migrazione
come tale è una tendenza anche all’interno della globalizzazione, significa lavorare
non necessariamente nel proprio Paese, ma cercare condizioni migliori in un altro.
L’emergenza è un fenomeno che non viene gestito. Innanzitutto, come dice il segretario
generale dell’Onu, nel momento di una crisi finanziaria, economica, le prime vittime
sono i migranti ed in particolare quelli con una situazione irregolare che vengono
quindi discriminati. Questo comporta anche un crescente fenomeno in Paesi con tendenze
xenofobe, si registrano infatti numerosi atti di violenza razzista.
D. - Lei
ha parlato di crisi economica: si può quantificare l’impatto che sta avendo proprio
la crisi sul fenomeno della migrazione?
R. – Prendiamo l’esempio dell’Italia
dove, secondo una statistica, sono 500mila i lavoratori migranti che si trovano senza
lavoro e che in questi ultimi tempi hanno perso il posto di lavoro. Questo certamente
è un numero allarmante considerando anche che, secondo la normativa italiana, un lavoratore
migrante che perde il posto di lavoro dopo sei mesi diventa irregolare. D’altra parte,
vediamo anche Paesi come la Spagna, dove c’è stata un’enorme crescita della popolazione
migrante negli ultimi 10 anni, che solo lo scorso anno ha avuto un cosiddetto saldo
migratorio negativo. Sono, infatti, più le persone che hanno lasciato la Spagna rispetto
ai nuovi migranti che sono entrati. E’ chiaro che la crisi economica, innanzitutto
quella nel Sud Europa, produce pure una diminuzione dell’arrivo e della presenza dei
migranti. Sappiamo anche di molti che tornano nei propri Paesi, magari nel Nord Africa
o in Turchia, dove ormai trovano migliori condizioni rispetto ai Paesi di immigrazione
tradizionale come Italia, Spagna o altri Paesi dell’Europa.
D. - Quali sono
le misure da chiedere alla politica? Ban Ki-moon parla della necessità di depenalizzare
l’immigrazione irregolare…
R. - Questo appello del segretario generale dell’Onu
va proprio in contro tendenza, ad esempio con l’introduzione della norma in Italia
che prevede il reato del soggiorno irregolare come fosse quasi un atto criminale.
Depenalizzazione vuol dire trovare i modi prima di tutto di procedere a una regolarizzazione
e di abolire questa clausola che prevede la perdita del permesso di soggiorno dopo
che si è perso il lavoro. Poi, in modo molto più generoso e molto più ampio, si può
anche appoggiare un ritorno volontario nel Paese di origine. Queste sono misure che
si possono prendere immediatamente per le quali ci sono anche fondi comunitari dell’Unione
Europea a disposizione e che dovrebbero essere utilizzati, come dice anche la normativa
comunitaria.
D. – Spesso quando si parla di migrazione si evidenziano i problemi,
le emergenze ma nel messaggio di Ban Ki-moon si evidenzia pure la speranza, il coraggio
e la determinazione di costruire una vita migliore. Forse questi sono aspetti che
la stessa comunicazione spesso dimentica…
R. – C’è molta ignoranza anche nell’opinione
pubblica. Per esempio, se è vero che tanti lavoratori migranti in Italia hanno perso
il posto di lavoro è anche vero che tanti altri hanno aperto attività autonome, micro-imprese,
e sono addirittura datori di lavoro per lavoratori italiani. Quindi abbiamo una percentuale
di circa il 12 per cento di nuove piccole imprese aperte da migranti. Sono dati che
bisogna sottolineare. Senza la presenza di migranti, settori interi dell’economia
crollerebbero, anche in questo periodo di crisi, perché sappiamo molto bene che ci
può essere da una parte una disoccupazione, anche nazionale, e dall’altra parte una
mancanza di manodopera in settori come l’agricoltura, l’edilizia, i servizi, il turismo.