Twitter: l'account del Papa supera i 2 milioni di follower, intervista con mons. Celli
A cinque giorni dal primo tweet di Benedetto XVI, il suo account, in otto lingue,
@Pontifex, ha superato i due milioni di follower. Alessandro Filippelli ne ha parlato
con mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali:
R. – Io penso che il Papa sia voluto scendere in questo ambiente comunicativo
ma che è anche un ambiente esistenziale dell’uomo di oggi. Le nuove tecnologie hanno
dato origine a una nuova cultura: non sono più solamente strumenti di comunicazione
ma sono diventati un luogo, un ambiente dove l’uomo oggi vive. Il desiderio del Santo
Padre era quello di essere lì dove gli uomini abitano ed essere accanto a loro con
parole di verità, adattandosi al linguaggio creato proprio per questa comunicazione
di Twitter, in 140 caratteri. Il problema non è tanto il numero dei caratteri ma è
lo spessore delle parole che si dicono. Il limite della nostra cultura oggi è quello
di dire molte parole senza uno spessore. Credo che tutti ci dovremmo rieducare a questo,
a far sì che le parole che diciamo abbiano sempre un significato profondo per l’altro.
Credo che il Papa voglia essere accanto alle donne e agli uomini di oggi, con quel
linguaggio comunicativo che le donne e gli uomini di oggi utilizzano. In Twitter oggi
abbiamo circa 140 milioni di persone attive. Il 40 per cento di questi 140 milioni
sono persone tra i 18 e i 34 anni. Allora, credo che sia proprio questo il desiderio:
essere lì dove gli uomini si parlano, dove gli uomini comunicano e non comunicano
solamente dati e informazioni ma, in parte, comunicano se stessi.
D. - In questo
contesto di cultura digitale come si muove la Chiesa?
R. - La Chiesa risente
dei limiti e delle tecnologie. Parlavo di un digital divide perché ci sono settori
del mondo dove certe tecnologie non sono arrivate. Pensiamo all’Africa, per esempio.
Parlando di social network, di reti sociali, se guardiamo la cartina di distribuzione,
ci accorgiamo che in Africa c’è quasi il vuoto. Questo ha un significato: mancano
i providers, manca l’elettricità, mancano tante cose. Lo stesso vale per alcuni settori
dell’America Latina o certi settori dell’Asia. Questo fa sì che anche la Chiesa, che
si muove e opera in questi contesti, per annunciare il Vangelo, deve fare riferimento
con varie velocità a queste possibilità che gli vengono offerte.
D. – Alla
luce di questa “alta velocità della notizia” quali sono le sfide che la Chiesa si
pone?
R. – Siamo sommersi dai messaggi e dalle notizie e il rischio è che,
innanzitutto, non sappiamo più valutare le notizie, non sappiamo più pesarle, anche
perché arrivano con una velocità impressionante. Corriamo il rischio di perdere l’orientamento.
Siamo talmente ingolfati di notizie, che facciamo ancora più fatica a scoprire la
Buona Notizia, che è risposta vera ai problemi della mia vita, del mio cuore, e questo
innegabilmente pone problemi che sono una sfida. Ecco perché abbiamo bisogno non di
chiudere ma di sapere educare le persone in questo contesto comunicativo a riscoprire
il senso di certe cose.