Il card. Sarah: “In un mondo che ha bisogno di pace dobbiamo lottare per combattere
la povertà”
“Why poverty?”, “Perché la povertà?” è il tema della Campagna dell’Unione Europea
Radiotelevisiva lanciata prima di Natale per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale
su una realtà dimenticata che coinvolge nel mondo un miliardo di persone. Una domanda
che abbiamo rivolto al cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio
“Cor Unum”, il dicastero per la Carità del Papa, che attraverso le Caritas di tutto
il mondo, distribuisce gli aiuti alle popolazioni più povere della Terra o colpite
da calamità naturali. Il porporato spiega al microfono di Roberto Piermarini
“Perché la povertà?”:
R. – E’ difficile
rispondere a questa domanda, perché la povertà è stata sempre una realtà umana. Io
penso anche che la povertà è una realtà causata dagli uomini: infatti, se creiamo
condizioni di vita come ad esempio la guerra, creiamo la povertà. Se creiamo un ambiente
ingiusto, cioè un’organizzazione economica che dà vantaggio solo ai ricchi, creiamo
povertà. Dunque, la povertà è una realtà umana che esisterà sempre, ma che non ha
soltanto un aspetto negativo. Infatti, mi sembra che la povertà possa essere anche
una realtà positiva perché è un modo di vivere nella sobrietà, nella semplicità senza
ingombrare la nostra vita di tante cose che non sono necessarie. Vedo, ad esempio,
per la mia esperienza, che tanti Paesi poveri hanno più allegria, più fiducia nella
vita, più gioia rispetto ai popoli che hanno tutto. Io penso, dunque, che dobbiamo
combattere la miseria, cioè il fatto di non avere niente: né casa, né cibo, né salute;
dobbiamo avere il minimo per vivere degnamente come esseri umani fatti ad immagine
del Creatore. Però, dobbiamo anche favorire questa realtà che è anche un bene per
l’uomo: già nell’Antico Testamento si parla dei poveri di Jahvé, gli amici di Dio;
Gesù stesso ha detto: “Beati i poveri” … Nel Vangelo di Luca ha detto anche: “Sono
stato unto per portare la Buona Novella ai poveri”, e San Paolo dice che “Cristo si
è fatto povero per arricchirci con la sua povertà”. La Gaudium et Spes dice che “lo
spirito della povertà è la gloria e il segno della Chiesa di Cristo”. E poi, noi religiosi
facciamo il voto di povertà … Svuotare la povertà della sua realtà religiosa e umana
non mi sembra un’attività da incoraggiare. La povertà è una realtà anche positiva.
Quello che conta è distinguere tra miseria e povertà. Perché la povertà? Penso che
la povertà sia una realtà positiva per l’uomo. Perché la povertà? Perché anche noi
creiamo povertà, negando all’uomo la possibilità di lavorare e quindi guadagnare il
minimo indispensabile. Io ho sempre detto che questi slogan “Dobbiamo cancellare la
povertà, sradicare la povertà” sono un insulto ai poveri, perché Gesù ha detto: “I
poveri li avrete sempre”. Però, dobbiamo lavorare affinché non ci sia miseria.
D.
– Eminenza, che cosa risponde la Chiesa al dramma della povertà e della miseria?
R.
– Nella mia esperienza, i missionari hanno sempre lottato per dare dignità all’uomo,
per dare cibo e salute all’uomo, creando scuole e dispensari, aiutando i popoli a
produrre meglio … Dunque, la lotta contro la povertà consiste nel migliorare le condizioni
di vita e di lavoro nelle popolazioni. E questo fa la Chiesa, ovunque: crea scuole,
luoghi per curare la salute, favorisce l’agricoltura, educa ed istruisce. Infatti,
una delle forme di povertà è non poter disporre di una scuola, non poter educare lo
spirito, cioè portarlo a riflettere, a vedere le cose nella maniera che faccia progredire
l’uomo nel suo benessere totale: non solo materiale, ma anche spirituale.
D.
– Come presidente di Cor Unum ha portato gli aiuti del Papa ai terremotati di Haiti,
ai giapponesi colpiti da terremoto e tsunami e si è recato recentemente in Libano
in visita ai profughi della Siria. Cosa le è rimasto di questi incontri?
R.
– Ciò che mi ha toccato molto è vedere cosa la gente si aspetta: e non parliamo solo
di aiuto materiale. Quando sono stato, ultimamente, in Libano, c’è stata una signora
che non ha guardato il colore della mia pelle, non ha considerato la mia origine africana.
Ha visto soltanto un uomo di Dio ed ha detto: “Prenda mio figlio che ha quattro mesi,
lo prenda per salvarlo”. Questa donna, tutta velata, che viene a chiedere un aiuto
e si mette a piangere, perché era rimasta così colpita dal modo in cui era stata trattata,
cioè con rispetto e con affetto … Anche quando sono stato in Giappone, ho raccontato
che due mesi dopo il mio ritorno a Roma ho ricevuto una lettera da una signora buddista
che diceva: “Quando c’è stato lo tsunami, con tante perdite umane e materiali, io
volevo togliermi la vita. Però, dopo averla ascoltata, dopo averla vista lanciare
fiori nell’acqua per le anime che sono state portate via dal mare, dopo aver sentito
che lei ha pregato per le famiglie che soffrono, io ho rinunciato a togliermi la vita”.
Ecco, quello che mi colpisce è che il lavoro di Cor Unum non è un lavoro che porta
soltanto aiuto materiale, ma anche aiuto spirituale, di conforto. E per me, restituire
dignità ad una donna, trattarla come una persona amata da Dio e far sì che lei prenda
coscienza di questo, vale più che donare milioni … Vedere la povertà, la miseria,
le condizioni di vita mi aiuta anche a pregare meglio per il mondo, che ha bisogno
di pace. Siamo noi a creare queste condizioni di miseria con la guerra, con la vendita
delle armi per distruggere i popoli, con questa struttura economica mondiale che forse
non favorisce veramente la crescita dei popoli poveri. Per questo, noi svolgiamo il
nostro lavoro ma allo stesso tempo preghiamo perché il mondo accetti dal Signore maggiore
saggezza, affinché poco a poco il mondo possa diventare migliore. Penso che Colui
che porta il mondo migliore sia Gesù Cristo, che noi stiamo aspettando, perché sta
per nascere: non a Betlemme, ma nel nostro cuore, nelle nostre famiglie, nelle nostre
istituzioni politiche ed economiche. E’ lui che può cambiare tutto …