Due anni dall'inizio della "Primavera araba": il mondo ricorda la rivoluzione partita
dalla Tunisia
Secondo anniversario, oggi, dall’inizio della cosiddetta "Primavera araba", il movimento
di rivoluzioni che ha portato alla caduta di diversi governi dittatoriali, dalla Tunisia
all’Egitto, e poi la Libia, passando anche per lo Yemen e il Bahrein. Il mondo intero
ricorda quel primo drammatico gesto compiuto dal giovane ambulante tunisino Mohamed
Bouazizi che si diede fuoco in segno di protesta dopo l’ennesimo sopruso subito dalla
polizia della sua città, Sidi Bouzid. Gesto che segna simbolicamente l’inizio della
rivolta e il lungo doloroso cammino verso la democrazia. Tanti scenari diversi un
comune denominatore, come conferma Massimiliano Cricco, docente di Relazioni
internazionali all’Università di Urbino ed esperto di Medio Oriente al microfono di
Cecilia Seppia:
R. – Si tratta
di una situazione complessa che ha avuto un trait d’union che è stato soprattutto
la volontà popolare, perché per queste "primavere arabe" si sono mobilitati milioni
di persone e soprattutto giovani, uniti nella richiesta di maggiore democrazia, rispetto
di diritti fondamentali, proteste contro la disoccupazione, la povertà, la stagnazione
economica e, soprattutto, la corruzione dei regimi al potere.
D. – Tunisia
con la caduta di Ben Alì, l’Egitto con Mubarak, ma anche il Barhein, lo Yemen, la
Libia di Gheddafi: come sono cambiati gli scenari da due anni a questa parte e soprattutto
si può parlare davvero in questi Paesi di avvento della democrazia?
R. – Vediamo
che la situazione è diversa da Paese a Paese. Partiamo proprio dalla Tunisia e vediamo
che la vittoria di partiti legati fortemente all’islamismo delinea un nuovo scenario
che in questo momento fa pensare al rispetto della volontà popolare. C’è, sì, una
modernizzazione, una democratizzazione apparente, ma forse dovremmo aspettare alcuni
anni per valutare esattamente quello che sta succedendo. In Egitto, dopo un iniziale
slancio rinnovatore, democratico, oggi Mohammed Morsi sta invece mostrando il volto
duro del regime e si sta un po’ trasformando nel “nuovo faraone”. Per quanto riguarda
la Libia di Gheddafi, lì c’era addirittura un regime in cui il capo si faceva chiamare
la “guida” e il “maestro”. Anche lì, rovesciamento popolare, però con diverse anime
e, anche lì, dalla rivolta popolare si è passati a tutto quello che è stato poi, soprattutto
con l’alleanza della Nato, i Paesi occidentali in modo particolare la Gran Bretagna
e la Francia, che hanno contribuito notevolmente alla caduta di Gheddafi e all’instaurazione
di questo nuovo governo che è, sicuramente, sulla carta, democratico, ma bisogna vedere
quanto effettivamente abbia il controllo della situazione e governi il territorio.
D.
– Tratto distintivo, da un lato la caduta di governi dittatoriali, dall’altro però
l’inasprimento di tensioni interne preesistenti alla rivoluzione…
R. – Indubbiamente
questa è la situazione che si va delineando. Sono saltati un po’ i "tappi" di questi
leader di certo carismatici, che al tempo stesso esercitavano il potere con autorità
e dura repressione delle loro opposizioni. C’era dunque una stabilità apparente. Oggi
invece, chiaramente, riemergono anche le contraddizioni che c’erano sempre state all’interno
di questa società. E’ un po’ il prezzo della democrazia.
D. - Il ruolo della
comunità internazionale durante la rivolta ma soprattutto dopo, nel difficile periodo
della transizione politica di questi Paesi, come è stato e com’è tuttora?
R.
– La prima considerazione che si può fare, per esempio sul ruolo dell’Unione europea,
è purtroppo uno scollegamento totale tra gli Stati membri, visioni differenti, mancanza
di coordinamento politico e, soprattutto, una sorta di spaesamento verso la gestione
della transizione. L’approccio dell’Europa è stato sempre quello di un certo egoismo.
D.
– L’attore principale di questa rivolta, dunque il popolo, i giovani in particolare,
come diceva lei, ma non dimentichiamoci anche le donne…
R. – Assolutamente
sì, e soprattutto, potremmo aggiungere, le donne giovani, che sono scese in piazza
con i ragazzi a piazza Tahrir al Cairo, che non hanno più fatto uso, in alcuni casi,
anche delle immagini caratteristiche di veli o di altri freni culturali e hanno collaborato
fattivamente, attivamente, alla protesta popolare.