Fondazione Missio: presentato il "Vademecum della Missione"
E’ stato presentato oggi, presso la Fondazione "Missio", organismo pastorale della
Conferenza Episcopale Italiana, il Vademecum della Missione. Destinato ai Centri
Diocesani Missionari e alle altre realtà italiane che operano in questo ambito, il
volume è una guida per rispondere alle domande essenziali sulla missione. Al microfono
di Davide Maggiore, don Gianni Cesena, direttore di "Missio", illustra
la prospettiva in cui è inserito:
R. – Credo
che oggi la connotazione sia quella della missione globale. Gesù stesso manda gli
Apostoli fino agli estremi confini della Terra e noi abbiamo sempre inteso questo
tema dei confini come un tema di carattere geografico. Ormai il confine passa nel
cuore dell’uomo, passa tra essere umano ed essere umano, ed è il confine tra la fede
e l’incredulità, il confine tra le condizioni umane del ricco e del povero, il confine
delle culture. Essere missionari oggi è presentare Gesù come Colui che è in grado
di proporre nelle diverse lingue, nelle diverse tradizioni culturali, un modello di
rapporto con Dio e di rapporto fraterno con l’altro, che, appunto, pur tenendo conto
delle necessarie diversità, sia in grado di superare i confini, cioè le barriere.
D.
– Una missione che, dunque, inizia anche a livello locale: il Vademecum si rivolge
ai centri missionari diocesani...
R. – La Chiesa locale ci è stata consegnata
dal Concilio Vaticano II come protagonista di tutti gli aspetti di Chiesa, e come
scriveva Paolo VI nell’ “Evangelii Nuntiandi”: “la Chiesa esiste per evangelizzare”,
e quindi la Chiesa ha una natura missionaria. Siamo abituati a dire che è missionaria
o non è. La missione si fa nelle piccole abituali mansioni di una parrocchia, di una
diocesi nella sua vita quotidiana, e la si fa appunto avendo questo sguardo universale.
La sottolineatura del centro missionario diocesano e di queste "istruzioni per l’uso"
che il Vademecum vuole fornire è esattamente questa: che ogni chiesa mantenga il suo
sguardo e il suo orizzonte universale. I vescovi italiani hanno scritto appunto che
noi abbiamo bisogno di sentire quest’universalità, perché forse duemila anni di storia
di cristianesimo rischiano di creare non solo abitudine, ma perfino una certa sonnolenza,
un certo addormentamento.
D. – L’edizione del Vademecum avviene nel contesto
dell’Anno della Fede e a seguito del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Che rapporto
c’è tra missione e nuova evangelizzazione?
R. – L’abbiamo letto nella “Redemptoris
Missio” di Papa Giovanni Paolo II: missione ad gentes, nuova evangelizzazione
e cura pastorale sono tre dimensioni dell’agire della Chiesa. I tre aspetti s’intrecciano
e, di fatto, nell’esperienza quotidiana di una comunità, di una parrocchia normale,
non si distingue tra le tre cose, ma si cerca di stare sul territorio, dando a ciascuno
ciò che è suo. La distinzione tra missione ad gentes e nuova evangelizzazione
è forse quella di intuire meglio l’interlocutore. Vi sono molti che sono cristiani
di nome o per anagrafe, ma che non sono stati evangelizzati. Quindi, la nuova evangelizzazione
è rioffrire loro quella freschezza del Vangelo, che per qualche motivo è andata perduta.
Ma non possiamo assolutamente dimenticare quella gran parte di umanità alla quale
Cristo ci invia, dicendo: “Andate per le strade del mondo”. Sostanzialmente si tratta
della stessa operazione: offrire a qualsiasi essere umano l’incontro con il Signore
Gesù, perché questo incontro con il Signore Gesù dia solidità alla sua vita. La distinzione
tra i due aspetti – missione ad gentes e nuova evangelizzazione – è che non
possiamo più farlo con uno stile di massa, non possiamo più farlo ‘a pioggia’, come
si direbbe, ma dobbiamo farlo cercando di intuire di che cosa abbia bisogno ogni interlocutore.
In questo senso è la piccola via della missione, quella del cuore che parla al cuore,
quella dell’incontro personale, quella che ci aiuterà nel futuro.