2012-12-12 15:21:09

Mali: nominato nuovo premier dopo il golpe militare. Condanne e sanzioni dall'Ua


Recuperare il nord del Mali nelle mani degli islamisti, indire libere elezioni e creare un governo di unità nazionale: questi i punti programmatici del nuovo primo ministro maliano, Cissoko Diango, già mediatore della Repubblica e segretario della presidenza, nominato dopo il golpe militare che ha portato ieri alle dimissioni del premier Diarrà. La comunità internazionale minaccia sanzioni. Oggi, è arrivata anche la condanna dell’Unione Africana, che ha ricordato all’esercito il requisito della totale subordinazione al potere civile. Al microfono di Cecilia Seppia, l’analisi di Marco Massoni, direttore ricerca per l’Africa del Centro Militare di Studi Strategici:RealAudioMP3

R. – Il Mali si è dotato di una struttura che è stata riconosciuta come “un’anatra zoppa” in questi mesi, non dando le giuste assicurazioni. C’è anche da dire un altro fatto: fondamentalmente, il Mali aveva un primo ministro che non andava perfettamente d’accordo con il presidente della Repubblica, entrambi ad interim. Ma soprattutto, aveva un primo ministro che si è dimostrato, nei confronti della comunità internazionale, forse troppo interventista. Evidentemente, c’è un interesse generale della comunità internazionale di dilazionare il più possibile l’eventuale dispiegamento di un contingente armato. Il motivo è semplice: le forze armate maliane non sono affatto in grado di riconquistare i territori del nord, perché mal armate e mal formate.

D. – La condanna della vomunità internazionale è arrivata già ieri e si minacciano sanzioni. Ha alzato la voce, questa mattina, anche l’Unione Africana che ha ricordato ai militari - responsabili del golpe - proprio il requisito della loro subordinazione totale al potere civile. L’esercito, però, continua ad avere un ruolo chiave in Mali…

R. – E’ esattamente così. Non dimentichiamoci che la giunta militare mantiene i Ministeri chiave di pertinenza - come la Protezione civile, gli Interni e anche la Difesa. Il problema fondamentale è che - al di la dei wishfull thinking, espressi dalla stessa Unione Africana e dalla stessa comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale l’Ecowas - neanche le Nazioni Unite hanno fatto sì che fossero effettivamente esautorati i poteri di questa giunta militare, che soltanto virtualmente è all’angolo, poiché al momento più inaspettato si muove agilmente e liberamente.

D. – Tra le priorità del nuovo primo ministro, ovviamente, quella di indire libere elezioni, ma anche liberare il nord dagli islamisti. A questo punto quali scenari si aprono?

R. – Si configurano due scenari. Da una parte, la difficoltà delle autorità centrale e nazionale maliane di gestire se stesse e quindi la credibilità di qualunque azione e di qualunque consenso che possano mai raccogliere nei confronti di altri interlocutori. Dall’altra parte, questo dilazionamento coatto, inevitabile, di attesa per il recupero dell’integrità territoriale del Mali, che comunque non è messo in discussione da nessuno e che si verificherà non tanto con una forza militare - che alla fine non sarà altro che una forza di polizia "robusta" - quanto invece attraverso una forma di dialogo che dimostri come l’aver alzato la voce da parte dei Tamashek, cioè dei Tuareg, alleatisi con questi movimenti fondamentalisti, è stato effettivamente fruttuoso per ottenere dei dividenti che probabilmente si configureranno nella forma di autonomia, in futuro, per i Tuareg stessi.

D. – Infatti, il movente di questo golpe è stato proprio la decisione, due giorni fa, dei ministri degli Esteri dell’Ue di inviare sul territorio truppe per l’addestramento. La Nato deciderà a breve se inviare il contingente di 3.300 soldati. Quindi, non basterebbe l’intervento militare, ma servirebbe una posizione diversa da parte della comunità internazionale…

R. – I Paesi confinanti a nord del Mali - che sono Paesi che si sono resi interpreti delle “primavere arabe”, ad eccezione dell’Algeria, senza la quale nessuna foglia si muove in quel contesto - sono particolarmente preoccupati per gli effetti destabilizzati che un intervento militare provocherebbe. Sicuramente, un intervento umanitario più profondo, che consenta anche ad altri elementi Onu di penetrare nel Mali settentrionale, quindi al di là della Croce Rosse, consentirebbe di creare le condizioni per avviare un dialogo più efficace con la parte Tuareg laica e le parti, per cos' dire, meno laiche.







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