Conferenza di Doha sul clima: si a "Kyoto II" ma senza i grandi inquinatori
“Chiediamo ai politici riuniti a Doha: su quale pianeta vivete? Certamente non su
quello in cui le persone muoiono per alluvioni, tempeste e siccità. E neppure su quello
in cui le energie rinnovabili stanno crescendo rapidamente e limiti e vincoli vengono
progressivamente opposti all’uso delle fonti sporche come il carbone. I negoziati
di Doha si annunciavano già come poco significativi ma hanno finito per deludere anche
le più modeste aspettative”. Le parole di Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace
International, non lasciano spazio a dubbi: dopo due settimane di negoziati quanto
emerso nel fine-settimana dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Doha (Cop
18/Cmp8) con il cosiddetto “Doha Climate Gateway” – dicitura (‘gateway’, passaggio)
che ne sottolinea l’aspetto transitorio – non risponde ad alcun criterio di “urgenza”
nella lotta contro i mutamenti climatici. L’estensione fino al 2020 del Protocollo
di Kyoto, unico trattato internazionale con obiettivi vincolanti per la riduzione
dei gas nocivi in scadenza il prossimo 31 dicembre, ha registrato tuttavia il netto
rifiuto dei principali inquinatori: a fronte di un impegno a un ulteriore riduzione
dei gas nocivi sottoscritto da Unione Europea, Svizzera, Norvegia e Australia, Stati
Uniti (mai firmatari), Canada, Giappone, Russia e Nuova Zelanda si sono tenuti fuori
e lo stesso hanno fatto gli emergenti Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. Kyoto
II coprirà così appena il 15% delle emissioni complessive di Co2, non abbastanza per
impedire che il surriscaldamento del pianeta superi i 2 gradi centigradi rispetto
ai livelli pre-industriali. Sul secondo punto, quello degli aiuti al Sud del mondo
per fare fronte ai mutamenti climatici, è stato rivolto un appello al Nord affinché
siano stanziati almeno 10 miliardi di dollari l’anno tra il 2015 e il 2020, periodo
durante il quale si dovrebbe arrivare alla stesura di un nuovo accordo globale vincolante
e alla sua entrata in vigore. Per i finanziamenti, tutto è rinviato al prossimo summit
sul clima in programma nel 2013 a Varsavia. Secondo dati presentati a Doha, nel 2012
le emissioni di Co2 hanno raggiunto 35.600 milioni di tonnellate, +2,6% rispetto al
2011 e + 58% rispetto al 1990, anno in cui il Protocollo di Kyoto nasceva fissando
come obiettivo la riduzione delle emissioni nocive di poco più del 5% entro il 2000.
“Gli Stati Uniti – osserva Greenpeace – rimangono fuori dal Protocollo e, nonostante
i recenti disastri dell’uragano Sandy e un’opinione pubblica sempre più schierata
sul tema dei cambiamenti climatici, la squadra di Obama non ha mostrato alcun segno
di accresciuta consapevolezza. In questo quadro le grandi economie emergenti come
Cina, India, Sud Africa e Brasile ancora non dimostrano il loro potenziale positivo
di intervento. Tutti questi attori potrebbero prendere esempio dalla Repubblica Dominicana
che, non avendo neppure una minima parte delle loro risorse economiche, si è impegnata
a ridurre del 25% le emissioni di gas serra al 2030 rispetto ai livelli del 1990,
unilateralmente e attraverso fondi nazionali”. (R.P.)