A Roma mercatino di Natale con prodotti dal carcere
Un’occasione per dimostrare che il carcere non è solo segregazione, esclusione e sovraffollamento.
Parliamo del mercatino di Natale “Prodotti dal carcere”, organizzato presso il museo
criminologico a Roma. Secondo i dati raccolti dal Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria (Dap), solo il 20% dei detenuti lavora negli istituti penitenziari.
Inoltre, in 5 anni, sono diminuiti del 30% i fondi destinati alla retribuzione dei
detenuti lavoratori. Quale il valore del mercatino alla luce di queste cifre? Alessandro
Filippelli lo ha chiesto ad Assunta Borzacchiello, responsabile del Museo
criminologico di Roma:
R. – La Costituzione
ci dice che dobbiamo dare l’opportunità del riscatto, del poter reinventare la propria
esistenza, di poterla sperimentare su percorsi che sono diversi rispetto a quella
che è stata la scelta dell’illegalità. Quindi, in carcere bisogna dare formazione,
cultura, lavoro. Bisogna dare quegli elementi che per ogni individuo sono fondamentali.
D – Qual è il messaggio che si vuole lanciare attraverso questa iniziativa?
R.
– Il messaggio che si vuole lanciare attraverso questo mercatino di Natale è un messaggio
di solidarietà, ma anche di conoscenza e di comunicazione, perché in questo modo noi
diamo la possibilità alla gente, ai cittadini che sanno poco di carcere o magari hanno
informazioni piuttosto frammentarie o poco approfondite, che in carcere, al di là
dei problemi che esistono – il sovraffollamento e quant’altro – esiste però un mondo
che va scoperto e valorizzato: il mondo del lavoro, il mondo delle cooperative che
si impegnano nelle carceri e che fanno lavorare i detenuti. Il messaggio è che il
lavoro è un elemento importantissimo all’interno delle carceri, perché non serve soltanto
a far passare il tempo, ma è utile alla persona, per poter riconquistare la fiducia
in se stessa, per trovare anche i mezzi per potersi sostentare, mantenere e aiutare
la famiglia. Il lavoro, quindi, è forse la chiave di volta del reinserimento sociale.
D.
– Quanto è importante un’iniziativa di questo genere, che punta a promuovere il lavoro
negli istituti penitenziari, nell’ottica del recupero totale dell’individuo?
R.
– E’ importante, perché si rende visibile al cittadino. Il cittadino come conosce
il carcere? Come si avvicina al problema dei detenuti o al problema del reinserimento,
che è un problema che poi riguarda tutti? Si avvicina attraverso i giornali e le televisioni.
Noi vediamo, però, che stanno venendo tantissime persone ad acquistare i formaggi
della Sardegna oppure gli accessori che si fanno nel carcere di Lecce, di Trani, alcuni
oggetti molto carini fatti a mano dalle detenute di Latina, i panettoni. Quindi l’oggetto,
il manufatto, che ha un valore, per la persona comune, che non ha una conoscenza diretta
di questo mondo, è una scoperta.
D. – Quanto il lavoro in carcere incide positivamente
sul rischio della recidiva?
R. – Il lavoro ovviamente è un elemento importante
per ridurre la recidiva, perché attraverso il lavoro – non dimentichiamolo – non solo
noi ci manteniamo, ci sostentiamo, possiamo vivere e pagare l’affitto, mangiare, avere
la macchina, ma scopriamo anche quelle che sono le nostre capacità. La nostra sfera
cognitiva naturalmente si allarga e riesce a cogliere le proprie capacità. Il lavoro
in relazione con gli altri, il rispetto di ciò che si fa e il rispetto di ciò che
fanno gli altri significa stabilire relazioni ed essere gratificati anche a livello
personale, emozionale, non solo economicamente. Quindi, il lavoro è un elemento fondamentale
– sembra quasi banale dirlo – nella vita di ognuno, sia per i liberi cittadini sia
per i cittadini detenuti.