2012-12-11 17:27:32

A Roma mercatino di Natale con prodotti dal carcere


Un’occasione per dimostrare che il carcere non è solo segregazione, esclusione e sovraffollamento. Parliamo del mercatino di Natale “Prodotti dal carcere”, organizzato presso il museo criminologico a Roma. Secondo i dati raccolti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), solo il 20% dei detenuti lavora negli istituti penitenziari. Inoltre, in 5 anni, sono diminuiti del 30% i fondi destinati alla retribuzione dei detenuti lavoratori. Quale il valore del mercatino alla luce di queste cifre? Alessandro Filippelli lo ha chiesto ad Assunta Borzacchiello, responsabile del Museo criminologico di Roma:RealAudioMP3

R. – La Costituzione ci dice che dobbiamo dare l’opportunità del riscatto, del poter reinventare la propria esistenza, di poterla sperimentare su percorsi che sono diversi rispetto a quella che è stata la scelta dell’illegalità. Quindi, in carcere bisogna dare formazione, cultura, lavoro. Bisogna dare quegli elementi che per ogni individuo sono fondamentali.

D – Qual è il messaggio che si vuole lanciare attraverso questa iniziativa?

R. – Il messaggio che si vuole lanciare attraverso questo mercatino di Natale è un messaggio di solidarietà, ma anche di conoscenza e di comunicazione, perché in questo modo noi diamo la possibilità alla gente, ai cittadini che sanno poco di carcere o magari hanno informazioni piuttosto frammentarie o poco approfondite, che in carcere, al di là dei problemi che esistono – il sovraffollamento e quant’altro – esiste però un mondo che va scoperto e valorizzato: il mondo del lavoro, il mondo delle cooperative che si impegnano nelle carceri e che fanno lavorare i detenuti. Il messaggio è che il lavoro è un elemento importantissimo all’interno delle carceri, perché non serve soltanto a far passare il tempo, ma è utile alla persona, per poter riconquistare la fiducia in se stessa, per trovare anche i mezzi per potersi sostentare, mantenere e aiutare la famiglia. Il lavoro, quindi, è forse la chiave di volta del reinserimento sociale.

D. – Quanto è importante un’iniziativa di questo genere, che punta a promuovere il lavoro negli istituti penitenziari, nell’ottica del recupero totale dell’individuo?

R. – E’ importante, perché si rende visibile al cittadino. Il cittadino come conosce il carcere? Come si avvicina al problema dei detenuti o al problema del reinserimento, che è un problema che poi riguarda tutti? Si avvicina attraverso i giornali e le televisioni. Noi vediamo, però, che stanno venendo tantissime persone ad acquistare i formaggi della Sardegna oppure gli accessori che si fanno nel carcere di Lecce, di Trani, alcuni oggetti molto carini fatti a mano dalle detenute di Latina, i panettoni. Quindi l’oggetto, il manufatto, che ha un valore, per la persona comune, che non ha una conoscenza diretta di questo mondo, è una scoperta.

D. – Quanto il lavoro in carcere incide positivamente sul rischio della recidiva?

R. – Il lavoro ovviamente è un elemento importante per ridurre la recidiva, perché attraverso il lavoro – non dimentichiamolo – non solo noi ci manteniamo, ci sostentiamo, possiamo vivere e pagare l’affitto, mangiare, avere la macchina, ma scopriamo anche quelle che sono le nostre capacità. La nostra sfera cognitiva naturalmente si allarga e riesce a cogliere le proprie capacità. Il lavoro in relazione con gli altri, il rispetto di ciò che si fa e il rispetto di ciò che fanno gli altri significa stabilire relazioni ed essere gratificati anche a livello personale, emozionale, non solo economicamente. Quindi, il lavoro è un elemento fondamentale – sembra quasi banale dirlo – nella vita di ognuno, sia per i liberi cittadini sia per i cittadini detenuti.







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