"Eccessi di città": urbanizzazione selvaggia e bararaccopoli in Africa
Molti commentatori hanno sottolineato negli ultimi anni la forte crescita economica
vissuta da alcuni Paesi dell’Africa. Questo fenomeno si è però accompagnato in molti
casi ad un’urbanizzazione selvaggia e all’espansione delle baraccopoli. Paradossalmente,
queste hanno avuto un ruolo importante nei progressi economici. E’ quanto spiega,
al microfono di Davide Maggiore, Fabrizio Floris, antropologo e sociologo,
autore, sull’argomento, del libro “Eccessi di città”:
R. – La crescita
di questi luoghi rappresenta il 70 per cento della crescita urbana dell’Africa, ma
anche dal punto di vista economico rappresentano, attraverso la loro economia di tipo
informale, tra il 20 e il 40 per cento del Pil dei Paesi. Quindi, non sono solo luoghi
di assoluto degrado, di deprivazione e di ‘assenza’, ma sono anche luoghi di produzione
di ricchezza, che però non si può trasformare in sviluppo per l’assenza di diritti
– prima di tutto, il diritto di proprietà – che connota questi luoghi. Per cui, se
una persona ha un surplus economico, essenzialmente non ha un luogo dover poterlo
investire. L’unico luogo che ha per poterlo investire è altrove.
D. – A quale
prezzo sociale avviene questa produzione di ricchezza?
R. – Il prezzo è altissimo
perché sostanzialmente c’è un’assenza completa delle istituzioni, anzi, meglio: sono
presenti quando si tratta eventualmente di ricevere soldi dal piccolo commercio locale,
sono assenti quando si tratta di far rispettare i diritti. Quindi le persone sono
un po’ in balia degli eventi, di una quotidianità molto faticosa ed il prezzo è il
rischio di un travolgimento di generazioni di giovani, che vivono senza prospettive
e per i quali il futuro non è una promessa ma una minaccia. Il cambiamento a livello
culturale, forse è quello più significativo, nel senso che non ci sono più le tradizioni.
Tendenzialmente sparisce la solidarietà, tipica del villaggio, e si mantengono aspetti
negativi all’interno della città. Cioè: il cercare di rispettare forzatamente
certe tradizioni in un contesto diverso implica problematiche a volte psicologiche,
a volte economiche.
D. – Ciò nonostante, molte persone scelgono di trasferirsi
dalla campagna alla città pur sapendo che il loro destino probabilmente sarà la baraccopoli:
in un certo senso, vedono la baraccopoli come un possibile trampolino di lancio. E’
una prospettiva realistica?
R. – Stando ai dati, solo il 2 per cento delle
persone che vivono nelle baraccopoli hanno una probabilità di uscirne. Il problema
è che l’alternativa è non avere neanche questo 2 per cento, perché c’è un’assenza
completa di investimenti nei confronti delle aree rurali: tutto si concentra nelle
città e quindi è normale che la popolazione si diriga dove c’è una qualche possibilità
di avere un posto di lavoro. Normalmente, il 60-70 per cento dei posti di lavoro di
un Paese si concentrano in due-tre grandi città, perché non c’è – tra l’altro – una
gerarchia urbana con piccoli centri, medi centri e grandi centri. Tendenzialmente,
ci sono dei villaggi e poi c’è la grande città. La città è il luogo delle opportunità,
ma queste opportunità bisogna cercarle passando prima attraverso una baracca di fango
in affitto, dentro ad una baraccopoli …