2012-12-09 10:21:17

"Eccessi di città": urbanizzazione selvaggia e bararaccopoli in Africa


Molti commentatori hanno sottolineato negli ultimi anni la forte crescita economica vissuta da alcuni Paesi dell’Africa. Questo fenomeno si è però accompagnato in molti casi ad un’urbanizzazione selvaggia e all’espansione delle baraccopoli. Paradossalmente, queste hanno avuto un ruolo importante nei progressi economici. E’ quanto spiega, al microfono di Davide Maggiore, Fabrizio Floris, antropologo e sociologo, autore, sull’argomento, del libro “Eccessi di città”:RealAudioMP3

R. – La crescita di questi luoghi rappresenta il 70 per cento della crescita urbana dell’Africa, ma anche dal punto di vista economico rappresentano, attraverso la loro economia di tipo informale, tra il 20 e il 40 per cento del Pil dei Paesi. Quindi, non sono solo luoghi di assoluto degrado, di deprivazione e di ‘assenza’, ma sono anche luoghi di produzione di ricchezza, che però non si può trasformare in sviluppo per l’assenza di diritti – prima di tutto, il diritto di proprietà – che connota questi luoghi. Per cui, se una persona ha un surplus economico, essenzialmente non ha un luogo dover poterlo investire. L’unico luogo che ha per poterlo investire è altrove.

D. – A quale prezzo sociale avviene questa produzione di ricchezza?

R. – Il prezzo è altissimo perché sostanzialmente c’è un’assenza completa delle istituzioni, anzi, meglio: sono presenti quando si tratta eventualmente di ricevere soldi dal piccolo commercio locale, sono assenti quando si tratta di far rispettare i diritti. Quindi le persone sono un po’ in balia degli eventi, di una quotidianità molto faticosa ed il prezzo è il rischio di un travolgimento di generazioni di giovani, che vivono senza prospettive e per i quali il futuro non è una promessa ma una minaccia. Il cambiamento a livello culturale, forse è quello più significativo, nel senso che non ci sono più le tradizioni. Tendenzialmente sparisce la solidarietà, tipica del villaggio, e si mantengono aspetti negativi all’interno della città. Cioè: il cercare di rispettare forzatamente certe tradizioni in un contesto diverso implica problematiche a volte psicologiche, a volte economiche.

D. – Ciò nonostante, molte persone scelgono di trasferirsi dalla campagna alla città pur sapendo che il loro destino probabilmente sarà la baraccopoli: in un certo senso, vedono la baraccopoli come un possibile trampolino di lancio. E’ una prospettiva realistica?

R. – Stando ai dati, solo il 2 per cento delle persone che vivono nelle baraccopoli hanno una probabilità di uscirne. Il problema è che l’alternativa è non avere neanche questo 2 per cento, perché c’è un’assenza completa di investimenti nei confronti delle aree rurali: tutto si concentra nelle città e quindi è normale che la popolazione si diriga dove c’è una qualche possibilità di avere un posto di lavoro. Normalmente, il 60-70 per cento dei posti di lavoro di un Paese si concentrano in due-tre grandi città, perché non c’è – tra l’altro – una gerarchia urbana con piccoli centri, medi centri e grandi centri. Tendenzialmente, ci sono dei villaggi e poi c’è la grande città. La città è il luogo delle opportunità, ma queste opportunità bisogna cercarle passando prima attraverso una baracca di fango in affitto, dentro ad una baraccopoli …







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