Vertice Usa-Russia sulla crisi siriana. L'Onu: "Assad alla sbarra, se utilizzerà armi
chimiche". Scontri anche in Libano
Siria. Ancora violenti scontri ieri a Damasco tra esercito e insorti, in una nuova
giornata di sangue che in tutto il Paese ha causato decine di vittime. Sul fronte
diplomatico, nulla di fatto nel vertice russo-americano alla presenza del mediatore
Onu-Lega Araba Brahimi, proprio mentre cresce il timore sul possibile utilizzo di
armi chimiche da parte di Damasco. “Se questo dovesse avvenire, il presidente Assad
verrà processato dalla giustizia internazionale”, minaccia il segretario generale
dell’Onu Ban Ki-moon, che oggi sarà in visita ai campi profughi in Turchia. E gli
scontri tra fazioni pro e anti Assad hanno coinvolto anche il Libano. Ieri nella città
di Tripoli le violenze hanno causato 10 morti e oltre 60 feriti. Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Susan Dabbous, giornalista italo-siriana, raggiunta telefonicamente
a Beirut:
R. - Gli scontri
si stanno verificando nella città di Tripoli: una città molto sensibile, con un forte
senso di appartenenza alla Siria e dove c’è una fortissima comunità sunnita che solidarizza
con l’esercito siriano libero. Poi c’è la comunità alawita, imposta 40 anni fa dal
padre di Bashar al-Assad, Hafez al-Assad. Le due comunità si scontrano da sempre.
Questo provoca che la popolazione libanese, esattamente come quella siriana, si è
polarizzata tra quanti sono a favore e quanti sono contro Assad.
D. - Una
situazione che sta a significare che, forse, gli sforzi internazionali, per trovare
vie di uscita alla crisi siriana, non possono non coinvolgere anche il Libano…
R.
- Certo. L’influenza del conflitto siriano in Libano è evidente e tutte queste conflittualità
libanesi si basano sul supporto o meno a Bashar al-Assad. Comunque vada a finire in
Siria - che resti Assad o che venga spodestato - per il Libano c’è il rischio che
si apra una fase di scontri aperti.
D. - Come la gente vive questa continua
dipendenza dalle sorti siriane?
R. - Ci sono due atteggiamenti. Il primo è
quello di Hezbollah e dei suoi alleati che vivono una sorta di dipendenza da Damasco:
che piaccia o meno, il Libano è un piccolo Paese, che ha bisogno di sostegno su qualcosa
di più grande e questa sicurezza gli è sempre arrivata dalla Siria. Il secondo atteggiamento,
invece, è quello di tutto il fronte dell’opposizione - guidato da Rafik Hariri, prima
che fosse ucciso; e poi dal figlio di Hariri, prima che andasse in esilio volontario
a Parigi per ragioni di sicurezza - che vuole assolutamente liberarsi da questo giogo.
Secondo loro, la dipendenza dalla Siria è insostenibile e non ha portato altro che
disastri e quindi guardano più favorevolmente all’Occidente, agli Stati Uniti, all’Europa,
ai Paesi del Golfo, che sono grandi investitori in Libano. L’obiettivo è assolutamente
liberarsi dalla presenza siriana che, fino a pochi anni fa - lo ricordiamo - era anche
militare.