Filippine in ginocchio per il tifone Bopha, quasi 500 morti
Nelle Filippine, è salito a 475 vittime il bilancio del tifone Bopha, il più potente
degli ultimi anni, che ha colpito in modo particolare l’isola di Mindanao. Centinaia
i dispersi mentre continuano incessanti i soccorsi: 4 le persone estratte vive oggi
dalle macerie. Ammontano a 250 milioni di euro i danni alle piantagioni di banane:
le Filippine sono il terzo esportatore al mondo. La Caritas locale si è già attivata
e molte parrocchie hanno messo a disposizione strutture per l'accoglienza e per la
distribuzione di generi di prima necessità. Le diocesi cattoliche del Mindanao orientale
hanno lanciato un appello per sostenere le famiglie colpite dal tifone. Al microfono
di Benedetta Capelli la testimonianza di padre Giovanni Vittoretto,
missionario del Pime, raggiunto telefonicamente nelle Filippine:
R. – Mi trovo
in una zona a 70 km a ovest di Davao. Siamo stati lasciati fuori dall’occhio del tifone
però abbiamo sentito gli effetti sia del vento che della pioggia. Non ci sono più
case in piedi. Non ci sono più tetti sopra le case. Le chiese, gli uffici comunali
e i vari negozianti che avevano i loro capannoni, tutto è rimasto per aria. Le piante
sono cadute lungo la strada, nei campi. Le piante di noci di cocco, che sono alte
di solito anche 10, 20 metri, sono state rase al suolo, sono cadute tutte per terra,
anche le piante di banane. Ci sono i danni all’agricoltura, i danni alle infrastrutture…
Per non parlare della cosa principale che sono i morti e i dispersi. Immaginiamo quanti
sono gli evacuati… Il problema degli evacuati è che quando è arrivata la notizia,
che è arrivata in alcune zone probabilmente troppo tardi, alcuni non hanno fatto in
tempo a raggiungere i centri di evacuazione. In certi casi chi li ha raggiunti ha
poi visto crollare il proprio centro per il passaggio dall’uragano.
D. - Sappiamo
che i soccorsi sono anche molto difficili perché molte aree sono rimaste isolate.
Avete contatti, ad esempio, con i volontari della Caritas, con il personale delle
diocesi e delle parrocchie delle aree più devastate?
R. - Noi abbiamo contatti
con la zona di Davao, dove abbiamo gruppi e organizzazioni che fanno alcuni tipi di
servizi al di là delle catastrofi naturali. Loro fanno “medical mission” nei villaggi,
vanno a gestire le scuole che sono in zone poco raggiungibili. Adesso sono in un certo
senso allertati, sono già in moto, alcuni sono già arrivati nei luoghi dove stanno
dando portando soccorsi insieme alle organizzazioni statali perché non si muovono
solo quelle private ma anche lo Stato.
D. - Le autorità del Paese hanno anche
lanciato un allarme per il pericolo di epidemie?
R. - Molte fosse comuni sono
state scavate e riempite. A preoccupare però sono le miniere abusive, che sono migliaia
nella zona colpita, e che potrebbero portare inquinamento, ci sono infatti metalli
che mescolati insieme potrebbero essere deleteri per la salute dell’uomo.
D.
– Le Filippine sono un Paese spesso colpito dai tifoni, le persone di solito come
reagiscono di fronte a queste catastrofi, riusciranno a rialzarsi?
R. – Chiaramente
è uno shock per tutti, specialmente per chi perde i propri cari durante queste emergenze,
questi disastri. Però fa parte della cultura, della natura, dello spirito dei filippini,
di non sedersi, di non abbattersi, di non disperarsi, di continuare a camminare. Dalle
immagini di quello che è successo, trasmesse adesso in televisione, si vede già che
dopo due giorni la gente comincia a tirare i teli sui tetti delle case, comincia a
mettere su le pareti con quello che può. Vuol dire che la gente non è che si sente
perduta, comincia da sé ad aiutarsi ma poi l’aiuto arriverà anche da fuori, dal governo,
dalle istituzioni private... Insomma non si perdono per strada, continuano. Sono tenaci.
La fede è ciò che sostiene lo spirito di reazione di questo popolo perché lo sostiene
in momenti di catastrofi come questa e riesce a farli “risorgere” dopo una caduta
che non è sempre facile da accettare.