Anno costantiniano. Il cardinale Scola: la laicità "neutrale" contro la libertà religiosa
Con l’Editto di Milano nel 313, “emergono per la prima volta nella storia” la “libertà
religiosa” e la “laicità dello Stato”. Così il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo
Scola ai primi Vespri per la Solennità di Sant’Ambrogio, patrono della Chiesa ambrosiana.
In quest’occasione vengono anche inaugurate le celebrazioni per i 1700 anni dall’Editto
di Costantino. Il servizio di Debora Donnini:
L’Editto di
Milano, voluto dall’imperatore Costantino, determina non solo “la fine progressiva
delle persecuzioni contro i cristiani ma, soprattutto, l’atto di nascita della libertà
religiosa”. Parte da qui il tradizionale discorso alla Città del cardinale Angelo
Scola – dal titolo “L’Editto di Milano: initium libertatis” – pronunciato alla vigilia
della festa di sant’Ambrogio e nel giorno in cui si inaugura l’Anno costantiniano
che vedrà una serie di iniziative. L’Editto di Costantino segna dunque un momento
importante eppure, rileva il porporato, non si può negare che sia stato “una sorta
di ‘inizio mancato’”: gli avvenimenti che seguirono aprirono una storia travagliata.
“La storica, indebita commistione tra il potere politico e la religione, sottolinea,
può rappresentare un’utile chiave di lettura delle diverse fasi attraversate dalla
storia della pratica della libertà religiosa”.
La situazione cambia però profondamente
con la dichiarazione del Concilio Vaticano II Dignitatis humanae: il Concilio, infatti,
afferma che l’uomo ha diritto “a non essere costretto ad agire contro la sua coscienza”.
Si riconosce, dunque, il diritto alla libertà religiosa come diritto della persona,
rispetto alle altre persone e allo Stato. Si cita, quindi, uno studio che ricorda
come fra il 2000 e il 2007 siano stati ben 123 i Paesi in cui si è verificata una
qualche forma di persecuzione religiosa e come il numero sia in continuo aumento:
segno di “un grave malessere di civiltà”. Il cardinale Scola affronta, quindi, la
complessa questione della libertà religiosa con le sue diverse sfaccettature: il rapporto
tra verità oggettiva e coscienza individuale, la coordinazione tra comunità religiose
e potere statale e “dal punto di vista teologico cristiano, la questione dell’interpretazione
dell’universalità della salvezza in Cristo di fronte alla pluralità delle religioni”.
E ancora, il tema della libertà di conversione e della distinzione fra potere politico
e religioni. “Più lo stato impone dei vincoli, più aumentano i contrasti a base religiosa”,
nota il porporato che in particolare analizza la connessione tra libertà religiosa
e orientamento dello Stato.
Si ricorda come la Conferenza episcopale degli
Stati Uniti parli di “ferita alla libertà religiosa” a proposito della riforma sanitaria
di Obama che impone a vari tipi di istituzioni religiose di offrire ai propri impiegati
un’assicurazione sanitaria che includa contraccettivi e abortivi. L’arcivescovo di
Milano fa, dunque, riferimento ad “un modello francese” di laicità che si basa sulla
neutralità ma che nei fatti finisce per diventare un modello maldisposto verso il
fenomeno religioso. Lo Stato deve sempre rispettare la società civile limitandosi
a governarla e nelle società civili, soprattutto europee, è evidente che le divisioni
più profonde sono fra cultura secolarista e fenomeno religioso e non, come spesso
erroneamente si pensa, fra credenti di diverse fedi. Misconoscendo questo dato, nota
il cardinale Scola, la giusta “aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare,
sotto l’idea di “neutralità”, il sostegno dello Stato ad una visione del mondo che
poggia sull’idea secolare e senza Dio”. “Ma questa - prosegue - è una tra le varie
visioni culturali che abitano la società plurale” e in questo modo lo Stato fa invece
propria una specifica cultura, “quella secolarista, che attraverso la legislazione
diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti
delle altre identità, soprattutto quelle religiose”, tendendo ad emarginarle, “se
non espellendole dall’ambito pubblico”.
E’ invece necessario uno Stato che
“ senza far propria una specifica visione” non interpreti la sua aconfessionalità
come distacco ma “apra spazi in cui ciascun soggetto” “possa portare il proprio contributo
all’edificazione del bene comune”. La libertà religiosa appare, dunque, “come l’indice
di una sfida molto più vasta”: quella dell’elaborazione di nuovi basi antropologiche
e sociali della convivenza delle società civili in questo terzo millennio. La città
di Milano e le terre lombarde saranno sempre più abitate “da tanti nuovi italiani
(immigrati di prima, seconda e terza generazione) e si dovranno confrontare con una
società dai contorni molto più variegati, mentre i centri di potere effettivi saranno
sempre più dislocati in Europa e nel mondo; “poteri, mai neutri, che vedranno sempre
più accresciuta la loro capacità di presentarsi come attori sociali e gruppi di pressione”.
La Chiesa ambrosiana, dunque, insieme a tutte le altre Chiese del Paese, è chiamata
“ad un’opera di trasformazione della propria presenza nella società plurale”: i cristiani
possono testimoniare l’importanza della dimensione pubblica della fede. Il concreto
vissuto ambrosiano di vita cristiana sta cercando “nuove forme per mantenersi radicato”
con reti di solidarietà, accoglienza, educazione alla fede e alla cultura. “Il nostro
– conclude il porporato - è un tempo che domanda una nuova, larga cultura del sociale
e del politico”.