2012-12-05 15:25:55

"Whi Poverty?": l’Indonesia e le profonde contraddizioni tra classi sociali


I ceti poveri restano fuori da ogni sviluppo economico. Ma è attraverso la carità pratica, la pazienza e l’amore che si possono superare queste emarginazioni sociali. Il contributo dei missionari provenienti da diverse parti del mondo offre ogni giorno il proprio sostegno per arginare le contraddizioni di una società che emargina i poveri. Lucia Fiore ne ha parlato con padre Silvano Laurenzi, missionario a Jakarta, nell'ambito dell'iniziativa "Why Poverty?", promossa di recente dall'Unione Europea di Radiodiffusione:RealAudioMP3

R. – L’Indonesia è immensa: sono più di 15 mila isole abitate. Ora, anche i problemi sono diversi. C’è la crisi economica in Europa, in Italia? Molto più grave è la crisi economica qui in Indonesia. In tante zone c’è la fame, e poi i problemi sono tanti. Proprio in questi giorni, in alcune zone – compresa la capitale Giakarta – c’è l’inondazione e in alcune zone l’acqua è arrivata fino ad un metro e mezzo, in alcune parti addirittura fino a due metri. Qui la povertà è grave. E dunque, il nostro primo impegno è quello di correre ad aiutare: la carità prima di tutto. La carità pratica, dare aiuto a questa povera gente: saranno pacchi dono, sarà riso, sarà vestiario… Ogni parrocchia, ogni stazione missionaria ha un centro di aiuti sociali. C’è la sezione sociale per aiutare i bambini: qui, nella mia parrocchia, aiutiamo più di 500 bambini sottosviluppati al di sotto dei cinque anni, con pacchi di riso, di zucchero che è una cosa pratica. Poi, diamo aiuto anche per pagare la retta delle scuole: abbiamo fatto una scelta, ne aiutiamo 350. Ma adesso la cosa diventa difficile, perché anche gli aiuti diminuiscono dappertutto. Questa è l’attività e coinvolgiamo la gente stessa, facciamo azione anche in chiesa, nei vari rioni, raccogliendo aiuti per questa povera gente, per aiutarla ad andare avanti e a far fronte ai propri impegni, prima di tutto la salute. E questo in tutta la parrocchia è molto, molto sentito. Poi, ultimamente, a livello più alto della Conferenza episcopale hanno preso l’iniziativa che è iniziata a Java centrale: gruppi di cattolici impegnati a combattere la corruzione, perché qui, la corruzione c’è dappertutto. Questi sono gli impegni e la presenza dei cattolici, con queste iniziative. Siamo una infima minoranza, però con queste iniziative facciamo colpo, anche sulla stampa, e questo aiuta, crea nuove idee nella gente. Questa attenzione per i poveri, per farli progredire, per trovare loro un lavoro, per farli continuare ad andare a scuola… e non è facile. Per il cristianesimo, il Vangelo dev’essere concretizzato: come Gesù faceva i miracoli, noi qui – non solo i missionari, ma i cattolici – tutti devono fare miracoli. Questa attenzione, amore per il povero, senso di donazione per il povero…

D. – L’Indonesia è un Paese con tante tradizioni culturali e religiose e profonde contraddizioni tra classi sociali e masse di poveri, che restano fuori da ogni sviluppo economico. Qui, il messaggio evangelico ha anche il sapore di un riscatto da una miseria quasi accettata dalla società indonesiana?

R. – Sì, è vero. Il nostro compito è far prendere loro coscienza del fatto che sono persone come tutte le altre, anche se sono poveri. E poi, l’aiuto a farli progredire: non è facile. C’è sempre questa tensione, spesso una lotta, tra gruppi religiosi diversi. Ma il nostro atteggiamento li colpisce, perché con la pazienza, con l’amore, con il perdono, aiutando anche quelli che ci fanno del male, il nostro messaggio è solo un messaggio di amore. Non è che andiamo a portare il Libro del Vangelo o della Bibbia: cerchiamo di rendere concreto il gesto di spezzare il pane, per rompere le lotte tra gruppi tribali e soprattutto tra gruppi che vengono da isole diverse. Metterli insieme non è facile, sono culture diverse: resta sempre un'ombra, questo odio nel loro cuore, tra i diversi gruppi etnici. Noi dobbiamo dare l’esempio, presentandoci come missionari. Chi viene dall’Europa, chi viene dall’Asia, chi viene dall’Africa: messi insieme, siamo una testimonianza forte! Questo vivere insieme, questo accettarsi, questo collaborare… questo lo facciamo anche nelle parrocchie e dà un’impronta, dà un esempio. Sempre in silenzio, sempre pieni di amore nei riguardi di tutti, accettando tutti, per eliminare questa differenza di religione e di etnicità, di culture diverse.







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