Sì della Nato ai missili in Turchia contro la Siria
Crisi Siriana. La Nato approva il dispiegamento di missili lungo il confine con la
Turchia a scopo difensivo. La Comunità internazionale contro l’uso di armi chimiche
da parte di Assad che continua a negare l’intenzione di usarle. Sul terreno ancora
una giornata di sangue: oltre 120 le vittime, bombardata anche una scuola in un campo
profughi a nord est di Damasco, 28 i bambini uccisi. Massimiliano Menichetti:
I missili
Patriot saranno dispiegati in Turchia, lungo il confine con la Siria, ho hanno deciso
ieri, a Bruxelles, i ministri degli Esteri della Nato che hanno accolto la richiesta
difensiva di Ankara. Ipotizzate dieci batterie di razzi, saranno fornite da Stati
Uniti, Olanda e Germania e non verranno utilizzate per la creazione di una no-fly
zone, ma solo in caso di aggressione da parte di Damasco. La tensione, a livello internazionale,
è salita dopo segnalazioni, di spostamenti in Siria di componentistica tossica e
nonostante Assad abbia negato la volontà di utilizzare tali arsenali e non vi siano
conferme ufficiali del riarmamento chimico della Siria. Il Segretario generale della
Nato, Anders Fogh Rasmussen, dopo gli Usa, ha condannato senza mezzi termini l’eventuale
uso di teli munizioni e ha parlato di risposta “immediata della comunità internazionale”,
nel caso di attacchi non convenzionali. Preoccupazione di Israele, monito anche da
parte della Russia, che non approva, però, il dispiegamento di missili difensivi contro
Assad. Intanto sul terreno scorre ancora sangue: 123 le vittime in sconti tra lealisti
e rivoltosi in varie parti del Paese. Morti anche 28 bambini ed un insegnate nel campo
profughi di Wafideen, a nord est di Damasco, per il lancio di un razzo da parte degli
oppositori.
La Siria, comunque, continua a negare la volontà di utilizzare
armi di distruzione di massa contro il suo popolo. Ne abbiamo parlato con il direttore
di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:
R. – Che La
Siria abbia armi chimiche è fuor di dubbio. E’ una cosa assolutamente acclarata. Il
programma nasce a fine anni ’70 inizio anni ’80 quando il padre dell’attuale presidente
Bashar al Assad, ovvero Hafiz al-Asad, individuò negli agenti chimici uno strumento
alla portata del regime, una risposta “low cost” al nucleare israeliano. Non a caso,
alcuni anni fa, la Siria si era "imbarcata" anche in un programma nucleare, culminato
poi nel settembre 2007 con il raid israeliano contro il presunto reattore di al-Kibar.
D.
– Ad oggi viene detto che queste armi vengono spostate sul territorio. Sono ancora
efficaci ed è un programma che è continuato nel tempo?
R. – Non è chiaro l’effettivo
stato del programma chimico siriano. Alcuni componenti di questi ordigni potrebbero,
dopo anni, essere decaduti e non è sicuro che il programma oggi abbia un’efficienza
pari a quella di dieci o quindici anni fa.
D. – Cosa tiene in piedi il regime
siriano?
R. – Il regime di Assad vede la propria sopravvivenza in una dinamica
esterna. Finché la Russia darà supporto, ho la sensazione che questo regime durerà
anche perché qui è in gioco la stabilità dell’area. La Siria è un Paese molto più
complesso della Libia. In Libia, nel 2011, la comunità internazionale, la Nato, l’Onu,
sono intervenuti anche perché la Russia lo ha permesso. Ed oggi intervenire in Siria
significa sollecitare anche Iran, Israele, Turchia… significa toccare il cuore stesso
del Medio Oriente. Per cui anche la comunità internazionale ha una certa ritrosia
ad entrare attivamente in un conflitto i cui esiti sono comunque di difficile calcolo
e previsione.