Lettera della Palestina all'Onu: accuse di “crimini di guerra” ad Israele per gli
insediamenti
All’indomani dell’annuncio israeliano di nuove 1700 case a Gerusalemme est, la Palestina,
appena ammessa all'Onu come Paese osservatore, ha inviato una lettera alle Nazioni
Unite nella quale accusa lo Stato ebraico di pianificare ''crimini di guerra'' per
l’espansione degli insediamenti. Inoltre, lo accusa di essere responsabile di ostacolare
il processo di pace in Medio Oriente. Ma cosa c’è dietro la scelta di Israele di proseguire
nella politica di espansione territoriale? Benedetta Capelli lo ha chiesto
a Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all'Università di Torino:
R. - Credo che
la ragione, questa volta, sia essenzialmente di politica interna: Netanyahu sta andando
alle elezioni che sono previste a gennaio. Gli eventi recenti hanno prodotto degli
entusiastici atteggiamenti da parte di quasi tutto il mondo e pure da una parte dell’opinione
pubblica israeliana che ha festeggiato la delibera dell’Onu sulla Palestina, perché
- tutto sommato - era uno sganciarsi dalla tradizione di questa questione irrisolvibile
e il voto ha dato uno slancio nuovo. A questo punto, però, Netanyahu si trova ad avere
anche un ostacolo interno e rappresentando un governo essenzialmente di centrodestra,
se non proprio di destra pura in Israele, ha avuto bisogno di dare un segnale alla
destra, che è poi il suo elettorato e quindi la scelta non è del tutto inspiegabile
o incomprensibile.
D. - C’è, secondo lei, il rischio concreto di un isolamento
di Israele rispetto al resto della comunità internazionale? L’Europa, per esempio,
è stata molto dura: quattro Paesi hanno convocato gli ambasciatori israeliani. Le
posizioni sono, quindi, abbastanza nette…
R. - Secondo me, non c’è pericolo
di isolamento. Gli eventi recenti hanno riaperto una dinamicità a una storia spaventosa
e terribile, che dura da 64 anni, di cui non si vedeva - e non so se si vede adesso
- alcuna possibilità di sviluppo. Questa situazione ha ridato centralità, una centralità
piena di intenzioni di cambiare, a tutto il mondo. Il fatto che l’Unione Europea si
lamenti, che gli Stati Uniti - che hanno sempre sostenuto le posizioni israeliane
- si permettano di criticare è una cosa sana. La democrazia è il mondo nel quale si
discute, si parla, invece che sparare. Abbandoniamo quel vecchio sistema per cui gli
alleati vanno sempre difesi, qualsiasi cosa facciano e allo stesso tempo bisogna essere
pronti a ricevere le critiche. L’isolamento al massimo può venire se uno continua
a commettere delle azioni che non sono giustificate, ma questo tenderei ad escluderlo.