La Palestina scrive all'Onu e accusa Israele di crimini di guerra
L'Ue ha convocato l'ambasciatore d'Israele per discutere dei nuovi insediamenti previsti
ed esprimergli la sua preoccupazione circa la loro dimensione e la possibilità di
creare in futuro un stato palestinese contiguo. Parere contrario agli insediamenti,
per le conseguenze negative sul processo di pace, arriva anche dalla Farnesina. L’ambasciatore
israeliano a Roma richiamato dal ministero degli esteri commenta: abbiamo avuto uno
scambio aperto di opinioni ma i rapporti restano eccellenti. Intanto ieri , all’indomani
dell’annuncio israeliano di nuove 1700 case a Gerusalemme est, la Palestina, appena
ammessa all'Onu come Paese osservatore, ha inviato una lettera alle Nazioni Unite
nella quale accusa lo Stato ebraico di pianificare ''crimini di guerra'' per l’espansione
degli insediamenti. Inoltre, lo accusa di ostacolare il processo di pace in Medio
Oriente. Quali effetti potrà provocare questo gesto? Benedetta Capelli lo ha
chiesto a Rosita Di Pieri, docente di Storia del Medio Oriente all'Università
di Torino:
R. – Io ho molte
perplessità rispetto all’effettivo peso che una lettera di questo tipo possa avere
sulle politiche, sulle decisioni delle Nazioni Unite. Penso che questi siano strumenti
efficaci dal punto di vista simbolico, quindi dal punto di vista della visibilità
internazionale della causa palestinese. Tutto sommato, però, mi sembra abbiano un
effetto molto limitato. Ricordo in proposito, per esempio, che nel febbraio 2011 le
Nazioni Unite, su pressione dell’Autorità nazionale palestinese, promossero una risoluzione
per una condanna reale degli insediamenti israeliani e questa risoluzione fu appoggiata
dal 122 Nazioni. Ma poi non si diede seguito alla risoluzione. La questione degli
insediamenti è cruciale all’interno dei negoziati: non soltanto perché era uno dei
punti che non furono affrontati durante i negoziati di Oslo – assieme ad altre questioni
fondamentali come lo status di Gerusalemme, il ritorno dei profughi, gli accordi di
sicurezza, dei confini e la questione dell’acqua – ma anche perché tocca un po’ il
cuore del conflitto, cioè ovviamente la vicenda dei territori, dei confini, della
sicurezza e via dicendo.
D. – “Crimini di guerra” e “ostacolo ai negoziati
di pace”: sono precise le accuse della Palestina a Israele. Ma questa è un’ulteriore
difficoltà nel processo di pacificazione…
R. – Sicuramente. Basterebbe guardare
una mappa per comprendere come questa proposta di collocare sul territorio della Cisgiordania
tremila nuovi insediamenti vada a ledere la continuità territoriale dell’entità palestinese.
Infatti, questi insediamenti dovrebbero essere collocati in un’area che viene identificata
come “E1”, situata nella parte Est di Gerusalemme, quella a maggioranza palestinese.
Si tratta di un’area protesa verso la parte più centrale della Cisgiordania. Costruire
nuovi insediamenti in questa zona porterebbe sostanzialmente alla divisione della
Cisgiordania in due cantoni non comunicanti: uno settentrionale che farebbe capo alle
città di Ramallah, Nablus e Jenin, e uno meridionale che farebbe capo più a Betlemme
e a Hebron, complicando quindi ulteriormente la situazione. Israele, in questo periodo,
sta cercando di prepararsi per le elezioni, nel senso che questi sono chiari programmi
elettorali. Comunque, la politica israeliana, tendente a perseguire una strategia
di allargamento, nel corso di questi ultimi anni ha dimostrato che non c’è poi tutta
questa differenza se al governo ci sono politici conservatori o politici meno conservatori.
D.
– Ieri, anche l’Egitto – garante del cessate-il-fuoco tra Hamas e Israele – ha convocato
l’ambasciatore israeliano in seguito alla decisione dello Stato ebraico di allargare
i suoi insediamenti. Questo che cosa significa a livello regionale?
R. – Certo,
questa nuova politica del presidente Morsi effettivamente potrebbe essere un elemento
di novità all’interno del panorama politico. Ritengo anche che in questo specifico
periodo, le preoccupazioni del presidente egiziano siano rivolte più all’interno che
all’esterno, comunque si presenta come un elemento di possibile disturbo. Avere accanto
uno Stato con al governo i Fratelli musulmani è un elemento che può far propendere
Israele verso una situazione di non tranquillità rispetto ai propri confini e rispetto
a una delle questioni centrali della politica israeliana, cioè la sicurezza.