Siria. La Nato: "Inaccettabile l’uso di armi chimiche, sì ai Patriot in Turchia"
Siria. I ribelli avanzano su Damasco mentre anche oggi si contano oltre 120 vittime.
Intanto gli Stati Uniti e la Nato alzano la voce sul possibile impiego da parte del
regime siriano di armi chimiche. Tale utilizzo, ammonisce il segretario dell’Alleanza
Atlantica Rasmussen, comporterebbe una reazione immediata. Dalla riunione dei ministri
degli esteri dell’Alleanza arriva il via libera al dispiegamento dei Patriot in Turchia.
Cecilia Seppia: Un’altra giornata di orrore e di violenza in Siria, tra i raid governativi
e l’avanzata dei ribelli che pare siano ormai vicini al centro di Damasco. Un colpo
di mortaio ha raggiunto una scuola vicina alla capitale, uccidendo 29 studenti e un
insegnante. Ucciso anche un giornalista della stampa ufficiale e alte decine di civili
tra Aleppo e Deir al Azzor. Intanto dopo l’out out degli Usa, con le parole durissime
del presidente americano Obama che prende le difese del popolo siriano, anche la
Nato, ammonisce il regime sul possibile impiego di armi chimiche: se il governo di
Assad dovesse arrivare a tanto ha detto il segretario generale dell’Alleanza Atlantica
Rasmussen, sarebbe inevitabile una reazione immediata. Scende in campo anche la Russia:
l'uso di armi di distruzione di massa avrebbe implicazioni gravi e Mosca non accetterebbe
alcuna violazione dei trattati internazionali fa sapere il ministro degli esteri Lavrov.
Altra questione il sostegno alla Turchia: in serata è arrivato il via libera della
Nato al dispiegamento di missili Patriot sul confine turco. Misure difensive e non
offensive, ha assicurato Rasmussen, che in nessun modo supporteranno una no-fly
zone.
La Siria, comunque, continua a negare la volontà di utilizzare armi
di distruzione di massa contro il suo popolo. Massimiliano Menichetti ne ha
parlato con il direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi:
R. – Che La
Siria abbia armi chimiche è fuor di dubbio. E’ una cosa assolutamente acclarata. Il
programma nasce a fine anni ’70 inizio anni ’80 quando il padre dell’attuale presidente
Bashar al Assad, ovvero Hafiz al-Asad, individuò negli agenti chimici uno strumento
alla portata del regime, una risposta “low cost” al nucleare israeliano. Non a caso,
alcuni anni fa, la Siria si era "imbarcata" anche in un programma nucleare, culminato
poi nel settembre 2007 con il raid israeliano contro il presunto reattore di al-Kibar.
D.
– Ad oggi viene detto che queste armi vengono spostate sul territorio. Sono ancora
efficaci ed è un programma che è continuato nel tempo?
R. – Non è chiaro l’effettivo
stato del programma chimico siriano. Alcuni componenti di questi ordigni potrebbero,
dopo anni, essere decaduti e non è sicuro che il programma oggi abbia un’efficienza
pari a quella di dieci o quindici anni fa.
D. – Cosa tiene in piedi il regime
siriano? R. – Il regime di Assad vede la propria sopravvivenza in una dinamica
esterna. Finché la Russia darà supporto, ho la sensazione che questo regime durerà
anche perché qui è in gioco la stabilità dell’area. La Siria è un Paese molto più
complesso della Libia. In Libia, nel 2011, la comunità internazionale, la Nato, l’Onu,
sono intervenuti anche perché la Russia lo ha permesso. Ed oggi intervenire in Siria
significa sollecitare anche Iran, Israele, Turchia… significa toccare il cuore stesso
del Medio Oriente. Per cui anche la comunità internazionale ha una certa ritrosia
ad entrare attivamente in un conflitto i cui esiti sono comunque di difficile calcolo
e previsione.