Israele annuncia la costruzione di altre 1700 case a Gerusalemme est
Su Israele si concentra l’attenzione della comunità internazionale. Dopo il sì dell’Onu
alla Palestina, ieri il premier Netanyahu ha annunciato la costruzione di altre 1700
case a Gerusalemme est. Un annuncio che ha provocato la reazione dell’Europa – Gran
Bretagna, Francia, Spagna e Svezia hanno convocato gli ambasciatori israeliani – ma
anche Stati Uniti, Cina e Russia hanno espresso contrarietà all’espansione degli insediamenti.
Il servizio di Graziano Motta:
Israele continuerà
a mettere in sicurezza i suoi interessi vitali: questa la spiegazione data dal governo
israeliano alle prime forti proteste nei riguardi della decisione di ampliare gli
insediamenti dei coloni e di bloccare il versamento delle tasse doganali percepite
per conto dell’Autorità nazionale palestinese. Agli annunciati tremila nuovi alloggi
nella Cisgiordania occupata con la Guerra dei sei giorni, se ne aggiungeranno altri
1.700 proprio nell’area meridionale di Gerusalemme, la più sensibile per il processo
di pace perché impedirebbe di stabilire la continuità del territorio dello Stato palestinese.
Ieri, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Svezia hanno convocato gli ambasciatori israeliani.
Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di rivedere la decisione che contraddice l’obiettivo
dei due Stati che possano vivere in modo pacifico e in sicurezza. Germania e Russia
hanno chiesto a Israele di revocare la decisione annunciata, contro la quale l’Autorità
palestinese ha chiesto sanzioni adeguate.
Dopo il voto dell’Onu che riconosce
la Palestina come Stato osservatore non membro, Tel Aviv ha anche annunciato il blocco
delle tasse riscosse per l'Anp. Fausta Speranza ha parlato di queste precise
scelte politiche israeliane con Maurizio Simoncelli, membro del direttivo dell’Istituto
Archivio Disarmo:
R. - Noi ci
troviamo di fronte ad una situazione estremamente particolare, come purtroppo lo è
tutta la vicenda del conflitto israelo-palestinese. Praticamente questi due pezzi
di territorio - Cisgiordania da un lato e Striscia di Gaza dall’altro - sono all’interno
del controllo dello Stato israeliano che ha anche alcune funzioni che non sono gestite
dall’autorità palestinese: una di queste è, appunto, quella della questione delle
tasse. La reazione di Israele di bloccare l’erogazione delle tasse, e quindi i soldi
che vanno ridati ai palestinesi, è in realtà il segnale di una situazione difficilissima
all’interno del governo israeliano. Probabilmente non si aspettavano una maggioranza
così schiacciante nell’ambito delle Nazioni Unite per il voto sullo status della Palestina.
Soltanto 9 Paesi hanno votato contro e circa una quarantina si sono astenuti: Israele
si è trovato quindi isolato a livello mondiale, a parte alcuni fedelissimi alleati.
E’ una reazione che purtroppo mette anche in evidenza le difficoltà del governo di
Israele a cercare un’altra soluzione: anche l’immediato annuncio di avviare nuovi
insediamenti, in modo tale da tagliare addirittura una parte dei territori palestinesi,
riaffermando poi - ancora una volta - Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, mostra
l’estrema difficoltà di questo governo israeliano che non riesce ad intravvedere altra
politica nei confronti della questione, se non quella di mostrare i muscoli.
D.
- Prof. Simoncelli, ricordiamo cosa può comportare praticamente quest’avanzamento
di status riconosciuto dall’Onu per la Palestina. Innanzitutto il ricorso al Tribunale
penale internazionale per alcune vicende ...
R. - Certamente. Questo mette
in estrema difficoltà Israele e, purtroppo, sappiamo che il comportamento del governo
israeliano e delle forze armate dei coloni nei confronti della popolazione civile
palestinese non è esente da eventuali interventi della Corte penale internazionale.
Non a caso il governo italiano ha chiesto garanzia ad Abu Mazen, affinché non prenda
iniziative di questo genere almeno riguardo al passato: questo vuol dire che l’Italia
riconosce che ci sono stati dei comportamenti non adeguati da parte del governo israeliano.
E’ anche un invito, però, a far sì che Israele rispetti questi standard. Il nervosismo
che trapela da parte del governo di Tel Aviv è significativo: vuol dire essere coscienti
che può andare a finire sotto la lente di osservazione del Tribunale penale internazionale.
D.
- Guardando all’oggi, c’è la questione del muro: quali altre situazioni potrebbero
essere oggetto di prese di posizione di questo tipo?
R. - Ce ne sono diverse.
Purtroppo c’è anche la vicenda dei coloni, di questi insediamenti che ufficialmente
Israele si era impegnata - soprattutto in alcune aree - a non fare più e che invece
adesso ha dichiarato di voler fare; ci sono i comportamenti nei confronti degli agricoltori
palestinesi, che spesso vengono fatti oggetto di attacchi e di soprusi o da parte
dei coloni o da parte delle forze armate. Sono diversi i motivi per cui i palestinesi
possono ricorrere in questo caso. Certamente noi non dobbiamo guardare al passato,
non dobbiamo guardare neppure l’immediata reazione da parte del governo israeliano:
dobbiamo guardare al futuro nella speranza che, superate tra l’altro le prossime elezioni
in Israele, ci si confronti con una prospettiva diversa. Continuare a dire che israeliani
e palestinesi - solamente loro - si dovrebbero sedere al tavolo, cercando di riuscire
a risolvere il problema significa dimenticare che non ci sono riusciti in 60 anni.
Inoltre c’è da dire che il riconoscimento dell’Onu alla Palestina, a mio avviso, è
ugualmente importante per la figura di Abu Mazen, che all’interno della classe dirigente
palestinese rappresenta l’ala moderata: non dimentichiamo, infatti, che quelli di
Hamas parlano chiaramente della distruzione dello Stato di Israele. Questo riconoscimento
è quindi un sostegno ad Abu Mazen e ad una politica palestinese più disponibile a
trovare un accordo, a sedersi intorno ad un tavolo delle trattative.