Dopo “l’accordo quadro” siglato fra governo filippino e ribelli musulmani per arrivare
alla pace nelle Filippine Sud, “si deve costruire anche un ‘quadro di fiducia’, che
aiuti le persone a immaginare cosa è necessario per un accordo di pace definitivo
e che, soprattutto, aiuti a cambiare i rapporti fra cristiani, musulmani e lumads
(indigeni) a Mindanao”: è quanto dice in una nota inviata all’agenzia Fides, padre
Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime, da oltre 30 anni nelle Filippine, fondatore
del movimento di dialogo interreligioso “Silsilah” a Zambonaga, sull’isola di Mindanao.
Il missionario presenta a Fides la “Settimana della pace a Mindanao”, in corso dal
29 novembre al 5 dicembre 2012, incentrata sulla domanda “Pace, dove sei?”. La Settimana
coinvolge comunità, associazioni cristiane e musulmane, istituzioni, scuole e università
in iniziative, conferenze, marce di pace, in diverse località di Mindanao. Il missionario
spiega a Fides che il cammino più importante è quello della riconciliazione: “Molti
credono che l'accordo quadro sulla nuova regione ‘Bangsamoro’, firmato il 15 ottobre
2012 tra governo e Moro Islamic Liberation Front, sia una buona occasione per giungere
a una pace definitiva. In effetti questo resta solo un ‘accordo quadro’, da riempire
di contenuti. Lo sforzo di base è quello di dire al nostro popolo che è possibile
costruire la pace a Mindanao se vi è una visione comune per armonizzare le differenze
di culture e religioni. Questo è il viaggio più lungo, ed è più importante rispetto
all’accordo di pace siglato sulla carta. Urge un cammino di purificazione dei cuori,
delle menti e della memoria. Si tratta di un processo di riconciliazione, di amicizia
e di amore”. Padre D’Ambra nota difficoltà e ostacoli in questo cammino: “Molti non
sono pronti a usare il termine ‘Moro’; altri credono che alcune minoranze ora abbiano
più diritti della maggioranza. Nuove idee religiose radicali stanno entrando a Mindanao
per alimentare divisioni fra musulmani e cristiani”. L’isola resta “malata di tumori”
come “il sistema della divisione feudale in clan, la cultura delle proliferazione
di armi o il business dei sequestri”. In tale situazione, conclude il missionario,
è bene ricentrare la riflessione sull’essere “tutti parte della stessa famiglia umana”
e riavviare una sforzo comune per costruire insieme un futuro di pace. (R.P.)