La Siria esclude l’utilizzo di armi chimiche. Ancora morti e feriti, grave l'emergenza
umanitaria
Non useremo mai armi chimiche contro la popolazione. Così il governo siriano dopo
il monito, in tal senso, di Stati Uniti ed Europa. Intanto non si fermano gli scontri
sul terreno: oltre 130 i morti nelle ultime 24 ore. E mentre i caccia turchi pattugliano
il confine con Damasco, la situazione umanitaria diventa sempre più drammatica. Massimiliano
Menichetti:
Damasco esclude
l’utilizzo di armi chimiche contro la popolazione. Un comunicato del Ministero degli
esteri ha risposto al monito di Stati Uniti ed Europa che hanno parlato, riferendosi
al possibile utilizzo di tali armamenti, di “linea rossa” invalicabile. “In nessuna
situazione saranno usate” tali metodiche “contro il popolo della Siria”, precisa il
documento diffuso dalla tv di Stato siriana. Intanto però, sul terreno non si ferma
la violenza dei rivoltosi e la risposta dei militari. Scontri si registrano in varie
parti del Paese, anche nei pressi dell’aeroporto internazionale di Damasco. Il bollettino
delle vittime delle ultime ventiquattr’ore ha superato i 130 morti, tra cui donne
e bambini. Quattro i caccia militari, secondo i comitati rivoluzionari, abbattuti
in Siria, mentre gli F16 turchi stanno pattugliando il confine con il Paese, dopo
che questa mattina alcuni colpi di mortaio sono caduti vicino alla cittadina turca
di Ceylanpinar.
Sul fronte diplomatico, si incontreranno oggi pomeriggio ad
Istambul, il premier turco Recep Tayyip Erdogan, principale sostenitore dei ribelli
e il presidente russo Vladimir Putin, che appoggia il governo di Damasco. E proprio
in Turchia è salito a 133 mila il numero dei profughi siriani registrati ufficialmente,
sabato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha ipotizzato che
saranno oltre 700 mila i siriani che scapperanno dal Paese entro la fine dell’anno
e 4 milioni quelli che si troveranno in una situazione di emergenza, considerando
che 40mila sono le vittime dall’inizio della crisi.
Altro fronte caldo quello
libanese dove opera, in sostegno dei profughi, anche l’ong GVC. Ai nostri microfoni
la direttrice dei progetti Dina Taddia:
R. – Il nostro
personale sta registrando proprio nelle ultime settimane un ulteriore afflusso di
famiglie, che provengono dalla valle di Homs, una delle città più colpite dai combattimenti.
Questo afflusso fa sì che i bisogni di tipo umanitario, soprattutto per quanto riguarda
la problematica dell’alloggio, del riscaldamento, delle cure sanitarie, aumentino
di giorno in giorno. Contrariamente a quanto si pensa, in quell’area fa freddo, è
inverno, quindi soprattutto le donne, i bambini e gli anziani risentono particolarmente
di questa situazione. Noi cerchiamo di aiutare anche i libanesi che stanno continuando
a fronteggiare un flusso continuo di persone. Per quanto riguarda invece la Siria,
ad Aleppo abbiamo del personale locale, qui l’approvvigionamento di cibo e di materiale
sanitario diventa sempre più difficile. I nostri operatori sono presenti anche nelle
scuole, in cui si stanno radunando le famiglie che scappano dalle aree del conflitto,
ma le difficoltà sono enormi. Ci sono zone altamente insicure, dove comunque le Nazioni
Unite riescono a far entrare camion con generi di prima necessità, anche se con grandissime
difficoltà. La situazione è molto complessa, molto difficile, in certi momenti è difficile
capire chi siano gli interlocutori con cui trattare.
D. – Quarantamila morti
dall’inizio della crisi. Che cosa bisognerebbe fare per questo conflitto, che spesso
passa quasi sotto silenzio? Cento morti al giorno, lo ricordiamo...
R. – E’
un conflitto che continua e corre il rischio di essere dimenticato. Si fa fatica in
questo momento ad immaginare una soluzione vicina. La situazione geopolitica nell’area
è molto critica. Purtroppo, tutto questo viene giocato sulla pelle della popolazione
siriana, che in questo momento è indifesa ed è in balia di forze che forse con il
benessere del popolo non hanno tanto a che vedere. Non vedo, purtroppo, via d’uscita,
se non quella di trovare al più presto il mondo di avviare una tregua, che possa far
sì che le varie parti si siedano e cerchino una soluzione.