Why poverty? L'impegno della Chiesa nell'Italia delle vecchie e nuove povertà
L’ultima fotografia dell’Italia povera è stata scattata dall’Istat nel luglio 2012
e ritrae la condizione del Paese nel precedente anno. A questi dati si aggiungono
quelli delle organizzazioni che lavorano al fianco delle famiglie, degli indigenti,
dei senza fissa dimora dal nord al sud della Penisola e che sono in prima linea sul
fronte della solidarietà. Il servizio è di Gabriella Ceraso:
Sin dalla
metà di questo decennio, quindi prima ancora della crisi, di fatto alcuni redditi
e alcune condizioni economiche - soprattutto quelle familiari - si andavano indebolendo
in Italia, tanto che dai centri di ascolto delle Caritas, tra i punti cruciali di
osservazione del fenomeno povertà, arrivavano le prime segnalazioni di famiglie che
si mettevano in coda insieme ai poveri, quelli più tradizionali come i senza fissa
dimora, o ai nuovi poveri, come gli immigrati. Poi questa tendenza iniziale si è aggravata
molto con la crisi, per la crescita di fenomeni quali la disoccupazione, la cassa
integrazione o l’ulteriore calo dei redditi. E’ evidente che la crisi ha anche modificato
sul piano territoriale le tendenze precedenti: il Sud resta il più colpito, con il
75 per cento dei poveri complessivi; ma la de-industrializzazione, che ha interessato
zone anche tradizionalmente meno sensibili al problema, ha portato regioni come la
Lombardia, il Veneto e le Marche a lasciar emergere situazioni di estrema fragilità.
E’ il dato sulla povertà assoluta quello più significativo per misurare il fenomeno.
Ne abbiamo parlato con Francesco Marsico vicedirettore della Caritas nazionale:
R.
- Per quanto riguarda le statistiche ufficiali, il dato di povertà assoluta - il parametro
fatto sempre sui consumi e non sul reddito - è il dato che ci dà la percentuale di
famiglie in difficoltà grave e nel 2011 c’è stata una crescita della povertà assoluta
fino al 5,7 per cento. E’ interessante confrontarla alla prima stima effettuata nel
2006, che ci diceva che le famiglie in questa condizione erano al 4,1 per cento: questo
è il dato nuovo - purtroppo - che si è realizzato. Negli anni pre-2005 avevamo soprattutto
persone e famiglie immigrate, povertà estreme e alcune categorie di povertà tradizionali
come gli anziani e coloro che si trovavano in condizioni di disagio di tipo diverso;
dal 2005 in poi crescente, invece, la quota di famiglie, dei cosiddetti “lavoratori
poveri” o di lavoratori in condizione di lavoro precario, tale da non consentire di
avere un reddito sufficiente per far fronte alle spese familiari.
D. - La causa
che spinge a questa condizione è ancora la disoccupazione?
R. - In realtà noi
avevamo condizioni di povertà pre-crisi molto ampie e significative. La crisi economica
ha semplicemente rafforzato la dimensione della intensità di povertà: soprattutto
per le famiglie cosiddette isolate - quelle cioè che non hanno reti familiari più
larghe che possono sostenerle - sono quelle che sono andate in giù, così come quelle
che, per condizioni di mancata tutela - per capire, cassa integrazione e in particolare
sussidi di disoccupazione - sono cadute nella condizione di povertà.
Servizi
e risposte offerte nel contrasto alla povertà: c’è più capacità al Nord, a livello
di enti locali e normative regionali - sostiene la Caritas - mentre il grande dramma
resta il Sud, dove manca spesso proprio la rete sociale che raccoglie le richieste
dal territorio. E’ qui che allora intervengono Chiesa, enti di carità, organizzazioni.
Ancora Francesco Marsico:
“In assenza - a differenza del modello
sociale europeo - di forme di reddito e di sostegno alle famiglie povere, questa distribuzione
territoriale ineguale di povertà fa sì che la rete dei servizi di risposta primaria
ai bisogni di povertà finisce per gravare sul privato sociale e in particolare - anche
e soprattutto - sulle Caritas diocesane. In uno spirito di sussidiarietà e di impegno
straordinario, possibili risposte sono arrivate dalla diocesi di Milano, che ha inventato
un fondo diocesano, o da forme di microcredito sociale, di distribuzioni alimentari,
di servizi di mensa e di risorse di tipo abitativo. Tutto questo nel tentativo di
dare una risposta solidale e soprattutto nel tentativo di dare prospettive e costruire
con le persone percorsi di fuoriuscita dalla condizione di bisogno”.
In
totale sono 4.991 i servizi e le attività di contrasto alla povertà economica realizzate
dalla Chiesa italiana: 449 sono mense; 2.832 sono centri di ascolto; quasi 3.600 quelli
di distribuzione di beni primari, che vanno dal cibo al vestiario. A questa rete,
in più di un caso, si unisce una proficua collaborazione con le istituzioni. Almeno
due i progetti importanti nel contrasto alla povertà. La co-promozione col ministero
del Lavoro che ha portato alla prima valutazione degli homeless in Italia,
ovvero coloro che vivono in condizioni di precarietà alloggiativa o in strada: oltre
47mila, per lo più uomini, stranieri, con meno di 45 anni. E poi l’importante piano
di distribuzione alimentare agli indigenti, in forma di pacchi viveri o pasti in mensa,
che sfrutta da vent’anni fondi europei legati alla politica agricola comune, messi
a disposizione del ministero dell’Agricoltura. Da qui, tramite l’Agea - l’Agenzia
di distribuzione - e attraverso 253 enti caritativi - tra cui il Banco delle opere
di carità, la Fondazione banco alimentare, la Comunità di S. Egidio e la rete delle
Caritas – sono stati raggiunti nel solo 2012, quasi 3 milioni e 700 mila indigenti.
Il commento di Pierapaolo Fraddosio, dell’Agea:
Ogni anno abbiamo
circa 16 procedure di gara che consentono l’acquisizione di molti alimenti per far
fronte alla nuova povertà, rappresentata in modo crescente dai bambini sotto i cinque
anni di età - 379 mila - e dai circa 500 mila anziani sopra i 65 anni di età. Noi
abbiamo il 37 per cento degli indigenti che sono nell’Italia meridionale; il 19 per
cento nell’Italia insulare; il 18 per cento nell’Italia centrale; e, un importante
27 per cento nell’Italia settentrionale. Le regioni con i picchi maggiori sono la
Sicilia, la Campania; ma abbastanza importanti anche i valori del Lazio e della Lombardia”.
Il Piano rappresenta, nel contrasto alla povertà, un esempio di chiara
ed efficace collaborazione e di sussidiarietà applicata, che può realmente aiutare
gli ultimi, ma che deve continuare ad essere sostenuto. E’ a livello europeo che questo
tipo di esperienza virtuosa rischia di arenarsi, poiché considerata una spesa evitabile
nel clima di austerity generale. E questo potrebbe accadere già dal 2014 sotto la
pressione di alcuni Stati, come ha spiegato il ministro delle Politiche Agricole,
Mario Catania:
“La Germania, insieme a un gruppo di altri Paesi,
vuole a tutti i costi interrompere l’operatività di questa misura. Lo vogliono fare
per motivi di ordine finanziario. A mio parere è un errore gravissimo”.
L’intenzione
del governo italiano è quella di negoziare a Bruxelles, con l’obiettivo di salvare
il programma. In secondo luogo avere uno strumento alternativo all’interno della politica
sociale, un fondo nazionale per gli aiuti agli indigenti, la cui struttura giuridica
è già pronta. Ma cosa è veramente necessario per sconfiggere la povertà in Italia?
L’ultima parola ancora alla Caritas nazionale, col vicedirettore Francesco Marsico:
“Evidentemente
una parte del problema della povertà in Italia è chiaramente legata al futuro del
nostro meridione, dove è necessaria un’azione formativa - da una parte - congiunta
ovviamente a forme di promozione allo sviluppo economico e non più legata a un modello
industriale, evidentemente non più praticabile, e congiuntamente alla creazione di
una rete sociale, di ascolto e di accompagnamento. Tre azioni di questo tipo, quindi
non episodiche, possono ridurre il tema povertà. Dall’altra, c’è il grande problema
della coesione sociale: è un processo che va messo in campo e che prevede risorse,
ma soprattutto una progettazione sociale condivisa. Uno stile sussidiario di costruzione
del bene comune che negli anni scorsi - e questo va detto - è stato carente sia sul
piano della collaborazione pubblica, sia - e anche questo va detto - della piena responsabilità
della società civile del nostro Paese”.