2012-12-01 16:49:14

Why poverty? L'impegno della Chiesa nell'Italia delle vecchie e nuove povertà


L’ultima fotografia dell’Italia povera è stata scattata dall’Istat nel luglio 2012 e ritrae la condizione del Paese nel precedente anno. A questi dati si aggiungono quelli delle organizzazioni che lavorano al fianco delle famiglie, degli indigenti, dei senza fissa dimora dal nord al sud della Penisola e che sono in prima linea sul fronte della solidarietà. Il servizio è di Gabriella Ceraso:RealAudioMP3

Sin dalla metà di questo decennio, quindi prima ancora della crisi, di fatto alcuni redditi e alcune condizioni economiche - soprattutto quelle familiari - si andavano indebolendo in Italia, tanto che dai centri di ascolto delle Caritas, tra i punti cruciali di osservazione del fenomeno povertà, arrivavano le prime segnalazioni di famiglie che si mettevano in coda insieme ai poveri, quelli più tradizionali come i senza fissa dimora, o ai nuovi poveri, come gli immigrati. Poi questa tendenza iniziale si è aggravata molto con la crisi, per la crescita di fenomeni quali la disoccupazione, la cassa integrazione o l’ulteriore calo dei redditi. E’ evidente che la crisi ha anche modificato sul piano territoriale le tendenze precedenti: il Sud resta il più colpito, con il 75 per cento dei poveri complessivi; ma la de-industrializzazione, che ha interessato zone anche tradizionalmente meno sensibili al problema, ha portato regioni come la Lombardia, il Veneto e le Marche a lasciar emergere situazioni di estrema fragilità. E’ il dato sulla povertà assoluta quello più significativo per misurare il fenomeno. Ne abbiamo parlato con Francesco Marsico vicedirettore della Caritas nazionale:

R. - Per quanto riguarda le statistiche ufficiali, il dato di povertà assoluta - il parametro fatto sempre sui consumi e non sul reddito - è il dato che ci dà la percentuale di famiglie in difficoltà grave e nel 2011 c’è stata una crescita della povertà assoluta fino al 5,7 per cento. E’ interessante confrontarla alla prima stima effettuata nel 2006, che ci diceva che le famiglie in questa condizione erano al 4,1 per cento: questo è il dato nuovo - purtroppo - che si è realizzato. Negli anni pre-2005 avevamo soprattutto persone e famiglie immigrate, povertà estreme e alcune categorie di povertà tradizionali come gli anziani e coloro che si trovavano in condizioni di disagio di tipo diverso; dal 2005 in poi crescente, invece, la quota di famiglie, dei cosiddetti “lavoratori poveri” o di lavoratori in condizione di lavoro precario, tale da non consentire di avere un reddito sufficiente per far fronte alle spese familiari.

D. - La causa che spinge a questa condizione è ancora la disoccupazione?

R. - In realtà noi avevamo condizioni di povertà pre-crisi molto ampie e significative. La crisi economica ha semplicemente rafforzato la dimensione della intensità di povertà: soprattutto per le famiglie cosiddette isolate - quelle cioè che non hanno reti familiari più larghe che possono sostenerle - sono quelle che sono andate in giù, così come quelle che, per condizioni di mancata tutela - per capire, cassa integrazione e in particolare sussidi di disoccupazione - sono cadute nella condizione di povertà.

Servizi e risposte offerte nel contrasto alla povertà: c’è più capacità al Nord, a livello di enti locali e normative regionali - sostiene la Caritas - mentre il grande dramma resta il Sud, dove manca spesso proprio la rete sociale che raccoglie le richieste dal territorio. E’ qui che allora intervengono Chiesa, enti di carità, organizzazioni. Ancora Francesco Marsico:

“In assenza - a differenza del modello sociale europeo - di forme di reddito e di sostegno alle famiglie povere, questa distribuzione territoriale ineguale di povertà fa sì che la rete dei servizi di risposta primaria ai bisogni di povertà finisce per gravare sul privato sociale e in particolare - anche e soprattutto - sulle Caritas diocesane. In uno spirito di sussidiarietà e di impegno straordinario, possibili risposte sono arrivate dalla diocesi di Milano, che ha inventato un fondo diocesano, o da forme di microcredito sociale, di distribuzioni alimentari, di servizi di mensa e di risorse di tipo abitativo. Tutto questo nel tentativo di dare una risposta solidale e soprattutto nel tentativo di dare prospettive e costruire con le persone percorsi di fuoriuscita dalla condizione di bisogno”.

In totale sono 4.991 i servizi e le attività di contrasto alla povertà economica realizzate dalla Chiesa italiana: 449 sono mense; 2.832 sono centri di ascolto; quasi 3.600 quelli di distribuzione di beni primari, che vanno dal cibo al vestiario. A questa rete, in più di un caso, si unisce una proficua collaborazione con le istituzioni. Almeno due i progetti importanti nel contrasto alla povertà. La co-promozione col ministero del Lavoro che ha portato alla prima valutazione degli homeless in Italia, ovvero coloro che vivono in condizioni di precarietà alloggiativa o in strada: oltre 47mila, per lo più uomini, stranieri, con meno di 45 anni. E poi l’importante piano di distribuzione alimentare agli indigenti, in forma di pacchi viveri o pasti in mensa, che sfrutta da vent’anni fondi europei legati alla politica agricola comune, messi a disposizione del ministero dell’Agricoltura. Da qui, tramite l’Agea - l’Agenzia di distribuzione - e attraverso 253 enti caritativi - tra cui il Banco delle opere di carità, la Fondazione banco alimentare, la Comunità di S. Egidio e la rete delle Caritas – sono stati raggiunti nel solo 2012, quasi 3 milioni e 700 mila indigenti. Il commento di Pierapaolo Fraddosio, dell’Agea:

Ogni anno abbiamo circa 16 procedure di gara che consentono l’acquisizione di molti alimenti per far fronte alla nuova povertà, rappresentata in modo crescente dai bambini sotto i cinque anni di età - 379 mila - e dai circa 500 mila anziani sopra i 65 anni di età. Noi abbiamo il 37 per cento degli indigenti che sono nell’Italia meridionale; il 19 per cento nell’Italia insulare; il 18 per cento nell’Italia centrale; e, un importante 27 per cento nell’Italia settentrionale. Le regioni con i picchi maggiori sono la Sicilia, la Campania; ma abbastanza importanti anche i valori del Lazio e della Lombardia”.

Il Piano rappresenta, nel contrasto alla povertà, un esempio di chiara ed efficace collaborazione e di sussidiarietà applicata, che può realmente aiutare gli ultimi, ma che deve continuare ad essere sostenuto. E’ a livello europeo che questo tipo di esperienza virtuosa rischia di arenarsi, poiché considerata una spesa evitabile nel clima di austerity generale. E questo potrebbe accadere già dal 2014 sotto la pressione di alcuni Stati, come ha spiegato il ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania:

“La Germania, insieme a un gruppo di altri Paesi, vuole a tutti i costi interrompere l’operatività di questa misura. Lo vogliono fare per motivi di ordine finanziario. A mio parere è un errore gravissimo”.

L’intenzione del governo italiano è quella di negoziare a Bruxelles, con l’obiettivo di salvare il programma. In secondo luogo avere uno strumento alternativo all’interno della politica sociale, un fondo nazionale per gli aiuti agli indigenti, la cui struttura giuridica è già pronta. Ma cosa è veramente necessario per sconfiggere la povertà in Italia? L’ultima parola ancora alla Caritas nazionale, col vicedirettore Francesco Marsico:

“Evidentemente una parte del problema della povertà in Italia è chiaramente legata al futuro del nostro meridione, dove è necessaria un’azione formativa - da una parte - congiunta ovviamente a forme di promozione allo sviluppo economico e non più legata a un modello industriale, evidentemente non più praticabile, e congiuntamente alla creazione di una rete sociale, di ascolto e di accompagnamento. Tre azioni di questo tipo, quindi non episodiche, possono ridurre il tema povertà. Dall’altra, c’è il grande problema della coesione sociale: è un processo che va messo in campo e che prevede risorse, ma soprattutto una progettazione sociale condivisa. Uno stile sussidiario di costruzione del bene comune che negli anni scorsi - e questo va detto - è stato carente sia sul piano della collaborazione pubblica, sia - e anche questo va detto - della piena responsabilità della società civile del nostro Paese”.







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