Mons. Tomasi denuncia la mancanza di volontà politica per riportare la pace in Siria
e i rischi della Sharia in Egitto
La situazione nel mondo arabo continua a destare grandi preoccupazioni. Le speranze
generate dalla caduta di alcuni regimi dittatoriali si stanno trasformando adesso
nel timore di una crescente islamizzazione dell’area. Intanto, in Siria prosegue anche
oggi l'azione del governo di consolidamento intorno alla capitale Damasco, ma aumentano
anche le vittime: un'autobomba a Homs ha colpito 40 persone e un'altra a Damasco ne
ha uccise 35. Si aggrava, inoltre, la situazione dei profughi. Sergio Centofanti
ne ha parlato con mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della
Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra:
R. - Parliamo
di centinaia di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare la Siria, rifugiandosi
in Libano o in Giordania o in Turchia, comunque nei Paesi vicini, per scappare dalla
violenza sistematica che continua, purtroppo, a martoriare questo grande Paese, che
è al centro del Medio Oriente. La Comunità internazionale continua a parlare di questa
situazione, ma non c’è ancora un accordo politico e la volontà politica di trovare
veramente una soluzione. Quindi, la prima responsabilità che abbiamo è di cercare
di rendere la vita e l’esperienza di queste persone e di queste famiglie, sradicate
dalle loro città e dai loro villaggi, un po’ più umane e più tollerabili. Di fatto
ci sono le agenzie cattoliche di assistenza che sono al lavoro e che cercano di aiutare
queste persone e anche la comunità internazionale, attraverso l’Alto Commissario delle
Nazioni Unite per i rifugiati, sta facendo il possibile, ma le risorse non sono adeguate.
Come ha detto il Santo Padre, occorre la volontà di ritrovare il dialogo e la pace
per prevenire questi disastri umani. L’esperienza continua a mostrarci - e questo
è soltanto l’ultimo caso molto lampante ed evidente - che la guerra e la violenza
non servono a niente, se non a creare dolore e sofferenza per centinaia di migliaia
di persone.
D. - Ai nostri microfoni, il nunzio a Damasco ha detto che adesso
questo conflitto rischia anche di essere dimenticato…
R. - Davanti ai nuovi
sviluppi che si stanno imponendo sulla scena internazionale, come la situazione tra
Palestina e Israele in Medio Oriente, c’è davvero il pericolo che questa situazione
di conflitto in Siria non venga presa sufficientemente in considerazione. E questo
soprattutto perché ci sono grandi interessi globali che si contendono un ruolo nel
Medio Oriente e che rischiano di anteporre l’influenza politica alle esigenze umane
prioritarie delle persone, delle famiglie che pagano sulla loro pelle il prezzo di
queste ambizioni politiche.
D. - Nel mondo arabo sono tanti i cristiani che
temono che questa “primavera araba” si tramuti in un’islamizzazione. Vediamo dei segni
anche in Egitto, dove nella Costituzione è stata introdotta la Sharia…
R. -
La grande speranza suscitata dalla cosiddetta “primavera araba” rimane molto ambigua
in questo momento. Da parte di alcuni si cerca di sostenere un’evoluzione di questi
Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che vada nella direzione di società più
aperte, più tolleranti, che abbiano la capacità di affermare anche la loro identità
storica, senza però imporla in maniera costrittiva su tutte le persone, siano esse
laiche o religiose, in modo da lasciare uno spazio di libertà per tutti. Purtroppo,
invece, sembra che ci sia la tendenza a una certa chiusura, quasi un tradimento -
per usare una parola forte - di quelle speranze che molti giovani avevano voluto esprimere
con le loro manifestazioni. Imponendo in Egitto la Sharia come principio di legislazione
si va contro la speranza dei cristiani copti che costituiscono il 10 per cento della
popolazione nazionale e contro altri milioni di persone che, in realtà, anche se di
matrice musulmana, vogliono un tipo di società più aperta e più tollerante.