2012-11-30 09:23:53

Chiese europee e migranti: una politica di "comunione" per le migrazioni in Europa


La parola d’ordine è qualcosa di più dell’integrazione perché il lavoro con e per i migranti in Europa passa soprattutto attraverso un cammino di “comunione” che richiede un “cambiamento” di atteggiamento e di prospettiva “da parte dei migranti che entrano in un Paese e da parte di chi accoglie”. È il card. Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, a delineare le conclusioni di una due giorni di lavoro che, sul tema “Una pastorale di comunione per una rinnovata evangelizzazione”, ha riunito a Roma circa 40 delegati rappresentanti vescovi e direttori nazionali per la pastorale dei migranti delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). È proprio lo stile della “comunione” - ha detto l’arcivescovo di Zagabria - il contributo “specifico” che la Chiesa può dare nel difficile processo di accoglienza e integrazione dei migranti nei diversi Paesi europei, soprattutto in un periodo di recessione economica. “Un processo importante” al quale “la Chiesa deve lavorare” come “devono lavorare anche altre organizzazioni politiche e sociali”. È stato il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa - riporta l'agenzia Sir - a promuovere l’incontro di Roma. Una due giorni durante la quale i partecipanti si sono confrontati sull’impegno che la Chiesa in Europa svolge a fianco non solo degli immigrati che arrivano ma anche degli emigrati che partono. Ne è uscita - come ha detto mons. Pierre Burcher, vescovo di Reykjavik (Islanda) - “l’icona di una Chiesa che si fa prossima con gli ultimi, i più poveri, spesso i migranti”. Di particolare attenzione sono le problematiche di Paesi europei colpiti dalla recessione economica, come il Portogallo, dove si contano 5 milioni di partenze “registrate” all’estero, a cui si devono aggiungere all’incirca 2 milioni di persone che hanno lasciato non ufficialmente il Paese. “E se negli anni Novanta - ha detto padre Francisco Sales Diniz, della Commissione episcopale per le migrazioni - il Portogallo ha accolto migranti provenienti soprattutto dai Paesi dell’area dell’ex Unione Sovietica, dal 2005 con la crisi il Portogallo è tornato a diventare Paese di emigrazione”. È stato padre Giovanni Peragine, presidente dell’Ucesm (la Confederazione dei superiori maggiori d’Europa) e missionario in Albania, a sottolineare “il problema di coloro che rimangano in patria, delle famiglie abbandonate dalle persone che emigrano alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Occorre, allora, pensare anche a un apposito servizio per chi rimane a casa e si trova in una situazione difficile e precaria”. La Spagna, ha detto padre José Luis Pinilla, direttore del segretariato della Commissione episcopale per le migrazioni, è un “Paese che sta attraversando una difficile fase di crisi economica, conta 5,5 milioni di stranieri al suo interno, pari al 14% della popolazione. Il tasso di disoccupazione degli immigrati ha raggiunto il 35%. Non ci sono fenomeni di xenofobia ma bisogna stare attenti: la recessione e la crisi stanno distruggendo le basi principali dell’integrazione espandendo i fenomeni di emarginazione con problemi anche d’illegalità”. Il movimento migratorio in Europa risente anche dei conflitti in atto nei Paesi della cosiddetta “primavera araba”. È stato il rappresentante di Malta, mons. Alfred Vella, a sottolinearlo. Malta con oltre 15.000 immigrati negli ultimi anni sopporta questa incidenza con difficoltà perché, pur trattandosi di un numero esiguo rispetto ad altre situazioni in Europa, questo dato è forte per “una piccola isola come la nostra”. “E gli arrivi che fino a qualche anno fa erano per Malta un fenomeno transitorio - ha detto - oggi sono diventati un fenomeno costante anche di fronte alla primavera araba, alla caduta di Gheddafi in Libia, alla guerra in Siria”. (R.P.)







All the contents on this site are copyrighted ©.