Ancora sangue in Siria: l’appello a non dimenticare il conflitto di mons. Zenari
Ancora una giornata di sangue ieri in Siria. Decine le vittime negli scontri tra esercito
di Damasco e milizie degli insorti. Da più parti si leva l’appello a salvare i bambini
vittime delle violenze, mentre gli Stati Uniti chiedono un’azione più decisa per far
cadere il presidente Assad. Il servizio di Marina Calculli:
L’esercito
ha lanciato ieri una violenta offensiva per riprendere il controllo dell’aeroporto
di Damasco. La strada di collegamento con il centro della capitale è stata chiusa
al traffico fin dal mattino. In serata poi il governo ha annunciato di averla messa
in sicurezza. Proprio in quelle ore quasi tutta la Siria è stata investita da un black
out senza precedenti di internet e delle reti telefoniche. Per i ribelli il governo
ha bloccato le comunicazioni per impedire ai militanti di coordinarsi. Il regime dà
invece la colpa ai “terroristi”. Nel frattempo un volo degli Emirates è stato cancellato
mentre Egypt Air ha annunciato la sospensione totale del traffico aereo tra Damasco
e il Cairo. Lakhdar Brahimi, delegato internazionale per la Siria, ha sottolineato
ancora una volta l’esigenza di un cessate il fuoco immediato e la necessità di organizzare
una vasta missione di mantenimento della pace. Secondo il New York Times alcuni attori
della comunità internazionale sono all’opera per accelerare la caduta di Assad. Tra
questi, secondo il quotidiano statunitense, ci sarebbe anche Obama che potrebbe inviare
agenti della CIA a combattere al fianco dei ribelli.
Negli ultimi tempi
però si parla sempre più del fatto che quello siriano possa diventare un conflitto
dimenticato. L’allarme di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco.
L’intervista è di Benedetta Capelli: R. – Ogni giorno
le cronache parlano di circa 100 o più morti. Purtroppo ci si assuefa a vedere queste
cifre e ci si accorge di questo conflitto quando, come è accaduto ieri, sono scoppiate
due autobombe e hanno fatto strage. Non dobbiamo, però, dimenticare la situazione
di più di un milione e mezzo di sfollati – un numero in aumento - che vivono lontani
dalle proprie abitazioni, che hanno visto distrutte e hanno dovuto abbandonare e ora
vivono in una situazione di estrema precarietà. Purtroppo, questo con il tempo rischia
di non fare più notizia.
D. – Lei ha parlato delle tante difficoltà della popolazione
siriana. La Chiesa, in questo momento, quale contributo sta dando?
R. – Il
contributo è dato dalla nostra presenza. Tante persone si dedicano a questa gente
in necessità e la loro presenza vuol dire moltissimo, alle volte più di quello che
può offrire: più del cibo, più del vestito. Essere presenti è un aiuto straordinario.
Stiamo avvicinandoci alla preparazione del Natale e qui, purtroppo, non abbiamo bisogno
di preparare il presepio perché abbiamo sotto gli occhi un presepio vivente: bambini
che nascono in situazioni di emergenza, fuori dalle proprie case, in luoghi di rifugio,
bambini che nascono nelle tende, che nascono al freddo, senza case riscaldate, nella
penuria di cibo, nella penuria di vestiti. Questo presepio, quest’anno più dell’anno
scorso, è reale e scuote profondamente i sentimenti. Il Signore nasce ancora in queste
condizioni, da queste parti, in questo clima freddo perché anche qui si sente molto
il freddo.
D. – In molti si chiedono quanto durerà questa guerra...
R.
– Purtroppo è una domanda che ci si pone e alla quale è difficile rispondere. Si sarebbe
tentati di dire qualcosa di negativo perché i segni che stanno davanti agli occhi
non fanno pensare ad una fine immediata, ad una fine di riconciliazione e di pace,
come tutti desidereremmo e per la quale preghiamo. Purtroppo i segni sotto gli occhi
sono abbastanza inquietanti. Dobbiamo, però, fare affidamento a questo messaggio che
ci viene dal Natale e dalla presenza di Dio con noi.
D. – Al dolore per i bombardamenti,
le vendette fra gruppi rivali, adesso si sta aggiungendo una nuova emergenza che è
quella della criminalità locale... R. – E’ una piaga che è cominciata da qualche
tempo a questa parte e soprattutto con lo sfaldamento della pubblica sicurezza e con
l’ingresso nel Paese di armi. C’è la piaga, ad esempio, dei sequestri a scopo politico
in vista dello scambio di persone ma è più diffusa la piaga del sequestro a scopo
di denaro. Alle volte le famiglie toccate da questo dramma del sequestro di persona,
che sta toccando in vari villaggi diverse famiglie, si rivolgono ai propri pastori.