2012-11-29 08:52:19

Perché la povertà?


La domanda - sulla quale l’EBU, European Broadcasting Union, invita a riflettere in questo 29 novembre attraverso i mezzi di comunicazione - sembra nuova e, in effetti, ha degli aspetti nuovi. Riguarda oggi chi ieri non sembrava minimamente preoccupato dal fenomeno della povertà: milioni di cittadini dei Paesi del mondo sviluppato, oggi chiamati, dai loro governanti e da istituzioni finanziarie come il FMI, a stringere le cinture. Lo stesso rigore che hanno conosciuto, in forma forse molto più intensa, tanti Paesi africani negli anni '80/'90. Ricordo ancora le numerose lettere che arrivavano alla nostra Redazione, dal Mozambico ad esempio. “Qui ciò che ci sta uccidendo è il PRE”, il Programma di Ristrutturazione Economica imposto dal FMI. O ancora, la sorte che è toccata ai cittadini della zona africana del Franco CFA, che nel 1994 hanno visto, da un giorno all’altro, il loro potere di acquisto svalutato del 50% dalla Francia. Retaggi del passato coloniale! Ma quei cittadini, abituati forse a tante e lunghe forme di sofferenze, hanno sopportato in silenzio e il mondo che conta non se n’è accorto.

Oggi le statistiche ci ricordano che 33 dei 44 Paesi più poveri del mondo si trovano in Africa. Le ragioni, si ribadisce sempre, sono di carattere endogeno ed esogeno: mal governo, dittature, guerre e conflitti inter-etnici, ingiustizia nella distribuzione dei beni comuni, corruzione, società civile inadempiente, alienazione della classe intellettuale, ingiustizie delle potenze economiche nelle relazioni con l’Africa, accaparramento delle risorse naturali, conseguenze del passato schiavistico e coloniale, e così via. Situazioni che in buona parte riguardavano anche l’America Latina e l’Asia, che insieme all’Africa erano designate come Terzo Mondo.

Per molti studiosi di queste aree del Pianeta si trattava di un mondo strutturato in centro e periferia, in cui la ricchezza del centro si manteneva grazie alla povertà della periferia. Insomma, una interdipendenza alquanto squilibrata. Al punto tale che si è a lungo parlato della necessità di un NOEI, Nuovo Ordine Economico Internazionale, mai messo in pratica, come del resto mai è stato messo in pratica il NOMIC, Nuovo Ordine Mondiale dell’Informazione e della Comunicazione reclamato dal Terzo Mondo e che avrebbe forse contribuito a capire meglio le cause dello squilibrio tra il centro e la periferia, e all’interno di ognuno di essi. E’ forse questo che l’EBU vuole oggi contribuire a fare con la domanda “perché la povertà?”!?

E di quale povertà si tratta? Di quella economica sicuramente, che sta portando milioni di persone alla disoccupazione con il rischio che si instauri, nel mondo fino a ieri considerato sviluppato, quella miseria che umilia e che, da troppo tempo, attanaglia milioni e milioni di africani e di altri abitanti del sud del Pianeta.

La povertà economica è causa ma anche conseguenza di altre povertà più profonde sulle quali bisogna riflettere. La Chiesa invita da anni a meditare su questo, ricordando che lo sviluppo non deve essere unicamente economico, ma anche spirituale, culturale, sociale, e che deve avere al centro delle proprie preoccupazioni tutte le persone e tutta la persona umana. Altrimenti, si va alla deriva. La Chiesa ha anche richiamato l’attenzione sui pericoli sociali di un capitalismo sregolato che guarda al profitto ad ogni costo e si scorda l’etica e la persona. Le conseguenze sono oggi di fronte ai nostri occhi.

Tutti questi meccanismi hanno portato a quello che alcuni studiosi africani, come Engelbert Mveng, hanno definito di povertà antropologica, cioè dell’uomo nella sua essenza, nella sua capacità di pensare, di agire, di proiettarsi integralmente nel tempo e nello spazio della propria cultura e di quella umana in senso ampio. Coloro che sembravano risparmiati da questa povertà antropologica sono oggi presi nelle stesse maglie, perché l’umanità è una. Il benessere o il malessere degli uni hanno, prima o poi, conseguenze su tutti. I nostri destini sono inseparabili – ricordava C. Hamidou Kane in “L’Avventura Ambigua”.

Riequilibrare le cose tra centro e periferia, tra i poveri e ricchi di ogni centro e di ogni periferia, richiede innanzitutto una giusta distribuzione dei beni prodotti dall’uomo. Sobrietà è, infatti, ciò che si richiede oggi a chi ne ha di più, per consentire a chi sta nella miseria avvilente di vivere degnamente. Si tratta di vedere nella povertà una ricchezza. Su questo invitava a riflettere, già nel 1978, Albert Tévoédjiré nell’opera “La Povertà, Ricchezza dei Popoli”. Cioè una povertà che ci lasci liberi dalla corsa sfrenata alle ricchezze materiali, per consentirci di scoprire altre ricchezze, di vivere i valori umani della solidarietà, della condivisione, del rapporto con Dio e, di conseguenza, con il fratello, con i più deboli e bisognosi. In poche parole, di essere più persona.

Questo messaggio - che va proprio nella direzione indicata da decenni dalla Chiesa, tramite i contenuti della Dottrina Sociale, e racchiusa da due millenni nel Vangelo di Cristo - fa fatica a passare. Non bisogna, tuttavia, disperarsi. La crisi attuale rappresenta forse una chance per fare capire che siamo tutti nella stessa barca, uniti da un unico destino, quello umano, e che o ci salviamo insieme o l’umanità rischia di auto-annientarsi. Aiutare a capire questo, a ridare valore, paradossalmente, alla povertà, è forse il miglior servizio che l’EBU possa fare mediante la giusta domanda “Perché la povertà?”

Maria Dulce Araújo Évora – Programma Portoghese – Radio Vaticana.







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