Nigeria: Boko Haram chiede il dialogo con il governo di Abuja
E' di 17 morti e 30 feriti il nuovo bilancio ufficiale delle vittime dell'attentato
di domenica scorsa alla chiesa cristiana di Sant'Andrea, situata all'interno di un
complesso militare, nello Stato nigeriano di Kaduna. Principale sospettato dell’azione
terroristica, il gruppo fondamentalista Boko Haram. E proprio dall’ala moderata del
famigerato movimento, che da tempo sta seminando morte nel Paese africano, giunge
oggi la proposta di aprire il dialogo con il governo di Abuja. Su questa iniziativa,
Giancarlo La Vella ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni
dei Paesi africani all’Università di Torino:
R. – Il movimento
nasce nel 2002 e man mano cresce e si diffonde nel Paese. Nel frattempo, ci sono stati
segnali nel passato che indicano che il movimento si sia articolato e forse non è
più la realtà compatta di quando è nato e contava poche centinaia di aderenti. Il
portavoce di questa ala moderata che si offre per trattare con il governo, perché
questa offerta abbia un significato, un valore, dovrebbe avere un peso importante
all’interno di un movimento, che negli anni si è sviluppato, si è qualche volta diviso,
e che effettivamente può presentare anime diverse, più o meno disposte a trattare
con il governo.
D. – E’ ammissibile che una parte sia pur moderata di Boko
Haram possa proporre il dialogo quando, praticamente fino a poche ore fa, il movimento
ha parlato a suon di attentati e di violenza?
R. – In effetti, questo è un
altro punto interrogativo di un movimento che nasce per contrastare nel modo più duro
e radicale la civiltà occidentale e tutto ciò che questa civiltà rappresenta e che,
da quando è nato, ha dimostrato una netta volontà sempre più decisa e spietata, come
dimostrano le cifre delle vittime negli ultimi tre anni.
D. - Quali sono i
reali obiettivi di Boko Haram?
R. – E’ indiscutibile l’ostilità e la volontà
aggressiva di Boko Haram nei confronti dei cristiani. E’ altrettanto vero che scopo
del movimento, fin da quando è nato, è ottenere che la Nigeria - che è un Paese diviso
in due, perché la metà settentrionale è abitata da popolazioni prevalentemente islamiche,
mentre quella meridionale da popolazioni prevalentemente cristiane e animiste - diventi
veramente un Paese islamico e adotti la sharia come legge della nazione.
D.
– In questa situazione, sembra ci sia poco spazio per un intervento internazionale,
sia pure a livello diplomatico…
R. – Penso di sì perché i problemi sono interni
e all’interno vanno affrontati e risolti. Il fattore decisivo per intravedere una
soluzione o comunque un miglioramento della situazione in Nigeria è il consenso che
Boko Haram ha all’interno del Paese. Il presidente Goodluck Jonathan, quasi un anno
fa, aveva lanciato un allarme drammatico, sostenendo che il movimento ha radici, sostenitori
e infiltrati in ogni settore della società e delle istituzioni, inclusi l’esercito,
i servizi segreti, le forze dell’ordine, i funzionari e il mondo politico. Una visione
non meno preoccupata, ma meno meno drammatica, è stata proposta in questi giorni dall’arcivescovo
di Abuja, Onaiyekan, appena nominato cardinale, che invece ritiene molto limitato
il consenso di questo movimento e che vede e, d’altra parte sollecita da mesi, se
non da anni, nel dialogo una via d’uscita.