Migrazioni e nuova evangelizzazione: a Roma l'incontro dei delegati europei per la
pastorale dei migranti
Il cristianesimo non può prescindere dalla realtà migratoria, in quanto “le migrazioni
fanno parte integrante della vita della Chiesa”. E’ la costatazione da cui è partito
l’intervento del presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti
e degli itineranti, card. Antonio Maria Vegliò, all’incontro dei vescovi e delegati
nazionali per la pastorale dei migranti in Europa che si è aperto ieri pomeriggio
a Roma. L’iniziativa che ha per titolo: "Una pastorale di comunione per una rinnovata
evangelizzazione" si propone di individuare nuove strategie pastorali nei confronti
degli immigrati, ma anche contribuire alla discussione pubblica in corso sul fenomeno
migratorio. Al microfono di Adriana Masotti, padre Luis Okulik, segretario
della Commissione sulle questioni sociali “Caritas in Veritate” del CCEE, Consiglio
delle Conferenze Episcopali d’Europa, che promuove l’incontro.
R. – E’ fuori
di dubbio che la Chiesa cattolica sia sempre stata in prima linea nell’accoglienza
dei migranti nelle diverse parti del mondo, ma in modo particolare in Europa, in questi
ultimi anni in cui la crisi provoca migrazioni motivate da ragioni economiche. La
Chiesa cattolica sicuramente ha da offrire non solo un grande sostegno, in concreto,
ma soprattutto può aiutare una riflessione molto seria sulle cause, sulle modalità,
sul modo di inserimento di queste popolazioni, in contesti che sono nuovi e che tante
volte richiedono un grande accompagnamento.
D. – Ma per la Chiesa, chi è il
migrante?
R. – E’ un fratello che arriva e che deve essere aiutato e accompagnato
nella sua esistenza. Ci sono certamente delle difficoltà alle volte, soprattutto motivate
da ragioni culturali e religiose - non possiamo dimenticare l’aumento delle migrazioni
da Paesi di maggioranza musulmana - ma la Chiesa ha dimostrato sempre un grande equilibrio
in questo senso, prestando un aiuto che non è definito in base al rapporto etnico
o al rapporto religioso, ma partendo da una comune convinzione che chi è in necessità
deve sempre essere aiutato. Se uno lo fa, lo fa proprio perché cattolico, perché convinto
che questo sia il modo migliore di condividere l’esperienza che uno fa alla luce del
Vangelo.
D. – Com’è stato pensato il Convegno di questi giorni a Roma? Con
quali obiettivi?
R. – L’obiettivo principale è stato quello di riflettere,
seguendo le tracce del messaggio del Santo Padre per la Giornata delle migrazioni
dell’anno scorso, che metteva in stretto rapporto la preoccupazione per la nuova evangelizzazione
con l’impegno in una pastorale rinnovata, in una pastorale di comunione. Da qui è
partita la riflessione che vorrebbe che in questi giorni i diversi responsabili delle
migrazioni presso le singole Conferenze episcopali europee, possano far presente le
prospettive di lavoro che hanno in questo momento, condividerle, e per quanto riguarda
soprattutto il CCEE, poter coordinare meglio questo lavoro, offrendo magari un certo
sostegno alla riflessione delle singole Conferenze episcopali.
D. – Alla luce
di quello che già esiste in ambito europeo, ci si vuole, dunque, confrontare e poi
guardare anche al futuro?
R. – Certamente. Si parte dall’esperienza che si
fa. Il lavoro sulle migrazioni per la Chiesa cattolica è sempre stato molto organizzato,
molto ben gestito e accompagnato. Quindi si parte dalla base di qualcosa che ormai
è collaudata nella pastorale della Chiesa cattolica. Da questo punto di partenza,
si vorrebbe guardare alle difficoltà e alle sfide. Nell’incontro dei diversi direttori
nazionali delle migrazioni, il confronto costruttivo punta a guardare le modalità
con cui si possa promuovere un certo modo di collaborazione regionale o di Conferenza
episcopale, perché possa essere di aiuto e sostegno al lavoro che già si sta facendo.