Tragedia Rossano. Mons. Marcianò: si poteva evitare, nostri treni come quelli a vapore
I sindacati chiedono maggiore attenzione per la rete ferroviaria calabrese, dopo la
tragedia che ha visto morire, sabato scorso, sei braccianti romeni. Per la Cisl calabrese,
quanto avvenuto è anche “il simbolo amaro di uno stato di abbandono di una rete ferroviaria
da terzo mondo su cui passano sempre meno treni”. E anche la Chiesa locale interviene.
Il servizio di Alessandro Guarasci:
Chi percorrere la linea jonica
ha l’impressione di esser tornato 40 anni indietro. Si tratta di 470 chilometri, da
Taranto a Reggio Calabria, principalmente a binario unico e con ampi tratti senza
elettricità, percorsi da treni di bassa qualità. Sempre più sporadici poi i collegamenti
con le grandi città del centro-nord Italia. Basti dire che tra Roma e Crotone, capoluogo
di provincia, non c’è un collegamento diretto e il viaggiatore può essere costretto
a cambiare treno anche due-tre volte. D’accordo il vescovo di Rossano-Cariati mons.Santo Marcianò:
R. – Noi stiamo
ancora con i treni a vapore… Non sono a vapore, sono a nafta: ma siamo lì. Tempi lunghissimi
per percorrere brevi tratti… e ritengo che questa non sia una cosa onesta. L’Italia
è un Paese che va considerato nella sua unità e l’unità non è e non deve essere solo
politica, ma dev’essere anche geografica, nel senso che gli interventi non si possono
pensare e programmare solo per una parte dell’Italia.
D. – Quella tragedia
in qualche modo è anche figlia dell’insicurezza dei trasporti ferroviari in quell’area?
R.
– E’ una tragedia che avrebbe potuto benissimo essere evitata. C’è un’insicurezza
reale che riguarda non solo i passaggi a livello, o comunque le vie di accesso spesso
non custodite, ma in generale riguarda tutti. Quindi, ripeto, è un problema da prendere
in considerazione. Io mi auguro che questa tragedia risvegli le coscienze. Stiamo
pensando di celebrare le esequie ovviamente secondo il rito greco-bizantino e lì mi
riprometto di lanciare un grido che vuole essere soprattutto un appello, come dicevo,
alle coscienze di tutti.
D. – Ricordiamoci che le persone che sono morte sono
stranieri. Ci ricordiamo di queste persone solo per i fatti negativi di cronaca, oppure
quando rimangono vittime di tragedie…
R. – Ritengo che queste persone – e il
Papa lo ha sottolineato con forza il 15 gennaio scorso, in Piazza San Pietro, in occasione
della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – siano persone che hanno una
loro dignità. Spesso – sempre come afferma il Papa – queste persone sono considerate
numeri, forza-lavoro. Non è possibile che ci si ricordi di tutto questo e si sottolinei
il valore della dignità di queste persone solo quando accadono questi incidenti. Ritengo
che prendere coscienza, entrare in relazione con queste realtà, che sono realtà spesso
disumane – mi riferisco alle condizioni in cui spesso vivono questi nostri fratelli
– credo che veramente metta in crisi coloro che debbono dare delle risposte a tali
emergenze e a queste domande. E non sono solo i cittadini: è anche la comunità ecclesiale,
la comunità civile. Questa è gente che viene spinta fuori dalla propria terra per
cercare un’oasi di tranquillità, di pace dove poter vivere da persone civili…