"Il vescovo maestro di fede": in un volume riflessione sul tema di mons. Fabio Fabene
La testimonianza di un vescovo non può essere uguale a quella di un qualsiasi cristiano,
perché la consacrazione ricevuta rende il vescovo un “maestro della fede”. È proprio
“Il vescovo maestro della fede” si intitola il volume scritto da mons. Fabio Fabene,
capo ufficio della Congregazione per i Vescovi, recentemente pubblicato dalla Libreria
Editrice Vaticana, con prefazione del prefetto della Congregazione per la Dottrina
della Fede, mons. Gerhard Müller. Alessandro De Carolis haintervistato l’autore
del libro:
R. – L’ispirazione
di questo libro mi è venuta subito dopo l’indizione, da parte del Papa, dell’Anno
della Fede. C’è una stretta connessione tra il vescovo e la fede perché - appunto
- in forza della consacrazione episcopale, il vescovo riceve i munera, cioè
le funzioni che gli sono proprie, e tra queste, la prima è proprio quella di essere
maestro della fede.
D. – Paolo VI affermava che l’uomo contemporaneo ascolta
più volentieri i testimoni che i maestri, e lei definisce per l’appunto il vescovo,
in quest’ordine, “testimone e dottore della Fede”. Dunque, anche per un vescovo è
dalla testimonianza che nasce il magistero…
R. – La definizione del vescovo
come testimone e dottore della fede è una definizione data dal Concilio Vaticano II,
e in particolare dalla costituzione dogmatica Lumen Gentium. Sappiamo quanto
la testimonianza sia centrale nel Nuovo Testamento, nel Vangelo, una testimonianza
riferita soprattutto alla Risurrezione di Cristo. È significativo, per esempio, che
al momento di scegliere colui che doveva prendere il posto di Giuda nel collegio apostolico,
si ritenesse necessario che fosse stato testimone della Risurrezione. Lo stesso Concilio
precisa anche il contenuto della sua testimonianza episcopale, che è quello di essere
“testimone della divina e cattolica verità”. La sua, quindi, è una testimonianza diversa
da quella di tutti gli altri testimoni.
D. – Per arrivare a definire la figura
del vescovo e delle sue responsabilità, lei apre il suo lavoro tracciando quasi “una
carta d’identità” della fede. Quali sono i segni particolari della fede?
R.
– Il libro è, potremmo dire, quasi diviso in due parti. Nella prima parte, mi pongo
una domanda: che cos’è la fede? Mi sono fondato soprattutto sui documenti del Concilio
Vaticano II che, è vero, non ha avuto un documento specifico sulla fede, ma tutte
le sue pagine – come disse Paolo VI, in un’udienza generale del mercoledì del 1967
– parlano della fede. E la fede innanzi tutto è vista dal Concilio come dono e vocazione,
comunione. La vede in rapporto con la Sacra Scrittura, e sappiamo poi quanto negli
anni successivi questo rapporto si sia sviluppato fino al Sinodo sulla Parola di Dio.
Si mette soprattutto in evidenza la fede e la carità: anche qui, sappiamo quanto il
magistero del Papa Benedetto XVI fin dalla sua prima Enciclica unisca la professione
della fede e la testimonianza dell’amore fraterno. Poi, la fede e la Speranza, la
fede e la ragione, anche questa una caratteristica del Magistero del nostro attuale
Santo Padre. Attraverso questo “mosaico” di concetti, a me sembra sia emersa una definizione
della fede proprio alla luce del Concilio Vaticano II.
D. – Al paragrafo in
cui si parla della fede in rapporto all’attuale contesto culturale, lei afferma che
la prima responsabilità del vescovo è quella di riaffermare il carattere certo della
fede. Quindi si può dire che è un guanto di sfida lanciato al relativismo spesso oggi
dilagante...
R. - Questo capitolo – l’ultimo del libro – risente molto della
mia esperienza maturata fin da ragazzo e dei primi anni della mia vita sacerdotale,
quando nella cattedrale della mia diocesi ho sentito diversi vescovi che si sono succeduti
proclamare veramente, affermare e riaffermare la fede: la cattedra episcopale era
veramente diventata per noi una scuola, la scuola della fede. Questa esperienza che
ho fatto negli anni è quella che noi anche oggi sentiamo nella predicazione e nel
magistero del Papa Benedetto XVI, che si esprime, non solo nelle sue omelie e nei
suoi documenti, ma anche in quella trilogia di volumi “Gesù di Nazareth”, il cui terzo
volume, dedicato all’infanzia di Gesù, è stato pubblicato appena qualche giorno fa.