Madagascar: i vescovi denunciano l'avidità dei partiti e impunità
“In Madagascar finora abbiamo avuto quattro costituzioni. In generale i capi di Stato
sono arrivati al potere in seguito a sollevazioni popolari ma ciascuno ha fatto votare
una costituzione di sua convenienza per conservare il potere e farne approfittare
amici e parenti. Per lo più hanno tenuto conto di interessi personali e degli interessi
di nazioni amiche piuttosto che di quelli del nostro Paese. La storia andrà avanti
così fin quando non verrà creato un sistema adeguato che protegga l’interesse del
popolo e promuova il bene comune”: è senza appello il verdetto dei vescovi del Madagascar,
contenuto in una lettera intitolata “La verità vi renderà liberi (Jn 8,32). Che la
pace di Cristo sia con voi”, pubblicata dalla stampa locale a pochi giorni da un incontro
nazionale tenutosi ad Antananarivo, la capitale. Dicendosi “preoccupati per la situazione
che prevale nel paese”, 26 arcivescovi e vescovi, hanno deplorato “la mancata indipendenza
del Madagasikara” nonostante siano passati 54 anni dalla fine dell’occupazione francese.
Dalla destituzione dell’ex presidente Marc Ravalomanana nel marzo 2009, a cui è succeduto
il giovane Andry Rajoelina sostenuto da una parte della popolazione e dall’esercito,
la grande isola africana dell’Oceano Indiano sta vivendo una transizione politica
infinita con ripercussioni negative sulla vita socio-economica di cittadini già poveri.
“Ogni giorno constatiamo la mancata indipendenza del nostro Paese. Le prove sono tante:
spoliazione delle risorse nazionali – ferro, pietre preziose, legname pregiato, petrolio
– tramite contratti di sfruttamento non equi e confisca di terreni. Poi ci sono gli
agenti di sicurezza al servizio dello Stato che approfittano del loro potere per massacrare
povera gente” aggiungono i firmatari della lettera, sottolineando che “è tutt’ora
il regno della corruzione, di una giustizia a due velocità e della cultura dell’impunità
che ostacolano il raggiungimento di un clima di pace”. Sulla carta, dopo la firma
di un accordo di transizione tra le principali correnti politiche, elezioni presidenziali
sono in agenda a maggio del prossimo anno. Guardando al futuro i vescovi esortano
i dirigenti malgasci a “preservare l’unità della nazione”, “a difendere unicamente
l’interesse del popolo investendo su istruzione e sanità”, “a conquistare indipendenza
nei rapporti con altri Paesi” ma soprattutto a “far prevalere la verità e la giustizia”.
Nelle ultime ore a finire al centro di pesanti accuse – esecuzioni sommarie di civili,
violenze indiscriminate, distruzione di villaggi – sono state le forze di sicurezza
impegnate da settembre nell’operazione ‘Tandroka’ per lottare contro il furto di zebù
nella regione meridionale di Anosy. Secondo un rapporto pubblicato dall’organizzazione
Amnesty International le ‘forze di intervento speciale’ si sarebbero rese responsabili
dell’uccisione di 11 civili e della distruzione di 95 abitazioni nel comune Elonty
mentre nella zona di Fort-Dauphin dall’inizio dell’anno 250 persone hanno perso la
vita in circostanze oscure. Richard Ravalomanana, comandante della gendarmeria, ha
respinto le conclusioni di un “rapporto poco credibile, frutto di un’inchiesta svolta
in fretta e senza andare sul terreno”. (R.P.)