Myanmar, è emergenza umanitaria. Continuano le violenze etniche
Sono oltre 110 mila gli sfollati a causa delle violenze in Myanmar. Il Paese è attraversato
da gravi conflitti etnici, come quello a nord fra l’esercito e i ribelli Kachin e
a ovest tra la maggioranza buddista birmana e la minoranza musulmana di etnia Rohingya.
E questo avviene nonostante la proclamazione dello stato di emergenza da parte del
presidente birmano, Thein Sein. Molte le difficoltà incontrate dalle agenzie umanitarie,
gli sfollati necessitano di cibo e alloggi. Alessandro Filippelli ne ha parlato
con Federico Fossi, dell'Ufficio Comunicazione dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati:
R. – Si è svolta
proprio recentemente una missione di monitoraggio tra diverse agenzie, che ha incluso
oltre all’Unhcr altri organismi umanitari internazionali, con l’obiettivo di valutare
i bisogni degli sfollati. La valutazione ha riscontrato problemi drammatici: molte
le persone colpite, che riportavano ferite da arma da fuoco, ustioni, ferite da freccia,
ma anche donne in gravidanza a seguito di violenze. E poi una crescente necessità
di teli di plastica per la costruzione di alloggi e di cibo.
D. – Cresce il
numero degli sfollati: come pensate di accogliere queste persone?
R. – Le
persone sono, per ora, ospitate da comunità locali, per cui è necessario ovviamente
dare un sostegno anche a queste comunità locali, che si fanno carico generosamente
dell’accoglienza di queste persone. Inoltre, è necessario attrezzare il più possibile
i campi nei dintorni di Sitve, dove si trova la maggior parte degli sfollati e fare
in modo che vi sia una maggiore presenza di medici e che le persone possano essere
protette.
D. – Le tensioni stanno generando confusione nei villaggi. Alcune
famiglie, durante i colloqui con i vostri operatori, hanno affermato di avere abbandonato
i propri bambini al momento della fuga. Come pensate di arginare questa emergenza?
R.
– L’obiettivo è quello di fare in modo che le persone non debbano più fuggire. La
minoranza Rohingya è una minoranza linguistica e religiosa, da sempre perseguitata.
C‘è un’altissima percentuale di queste persone che sono apolidi, cioè non hanno una
cittadinanza. Parliamo di oltre 800 mila persone, quindi è necessario ristabilire
assolutamente la calma, far cessare le ostilità e cercare di fare in modo che termini
la condizione di segregazione verso questa minoranza, affinché possano vivere in pace
nel loro Paese e non essere più costretti alla fuga, rischiando la vita.
D.
– Si avvicina anche la stagione della malaria: in che modo farete fronte a questo
problema?
R. – C’è una carenza di personale medico. Da questo punto di vista,
l’Unhcr, proprio in uno sforzo tra agenzie, collabora con diverse organizzazioni umanitarie
internazionali che si occupano più propriamente degli aspetti legati alla salute,
ong composte da medici. E’ necessario assolutamente incrementare la presenza di personale
medico, per far sì che epidemie e cure ai feriti siano somministrate e verificate
il più possibile.