In Siria sono oltre 40mila i morti dall'inizio del conflitto. Si aggrava l'emergenza
profughi
In Siria nessuna tregua: i ribelli hanno conquistato una città strategica al confine
con l’Iraq, mentre è sempre più drammatico il bilancio delle vittime della guerra
civile in corso da 20 mesi. Ad annunciarlo fonti delle opposizioni, che parlano di
oltre 40mila morti, tra i quali 28mila civili. Sentiamo Marina Calculli:
I ribelli
siriani hanno affrontato ieri un combattimento senza precedenti con combattenti della
comunità curda, rimasta fedele al regime di Bashar al-Assad. Secondo le fonti registrate
dall’Osservatorio siriano per i diritti umani la battaglia principale si è svolta
a Ras-el-‘ain, nel nord, e in prima linea dalla parte dei ribelli c’era il fronte
islamista al-Nousra. Non è forse un caso che la mobilitazione dei kurdi avvenga proprio
mentre sale ai massimi storici la tensione tra Siria e Turchia, un paese che con i
kurdi ha un contenzioso di vecchia data. Ankara ha chiesto alla Nato missili patriot
da schierare alla frontiera. Secondo fonti dell’alleanza Atlantica, che presto effettuerà
un sopralluogo in Turchia, questi potrebbero arrivare già a metà dicembre. Germania,
Olanda e Stati Uniti si sono, infatti, rese disponibili a fornire i missili ad Ankara
. Intanto, secondo diverse fonti è salito a circa 40.000 il numero dei morti della
guerra civile, mentre aumenta il numero dei rifugiati nei paesi vicini. In Libano
i profughi rivendicano un campo in cui vivere, opzione tuttavia già negata dal governo
libanese.
Si fa sempre più grave l’emergenza profughi. A confermarlo anche
Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, al microfono
di Silvia Koch:
R. – La situazione
in Siria sta peggiorando sempre di più. All’interno della Siria ci sono oltre 2 milioni
e mezzo di sfollati, cioè gente che ha lasciato la propria abitazione e ha trovato
rifugio in altre città, presso parenti e amici. In più, ci sono oltre 430 mila rifugiati
nei Paesi confinanti, che vivono sotto le tende, che vivono anche loro presso parenti,
presso amici, in edifici pubblici in disuso. Quindi, una situazione che, dal punto
di vista umanitario, è sicuramente grave. Noi abbiamo fatto un appello di 488 milioni
di dollari, per portare avanti le attività umanitarie, per portare soccorso solo nei
Paesi confinanti, dove si trovano i 430 mila rifugiati, e ad oggi abbiamo ricevuto
il 35 per cento di questo appello. La stessa cosa sta succedendo per l’appello che
abbiamo rivolto per aiutare gli sfollati all’interno della Siria: ad oggi siamo a
meno del 40 per cento dei soldi richiesti. Per questo, quindi, l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati si rivolge anche ai privati, alle aziende, alle
fondazioni. Ed anche la campagna che abbiamo lanciato in questi giorni, intitolata
“Routine is Fantastic”, è mirata proprio a far sì che i bambini non debbano rinunciare
anche alla scuola, perché questa è una componente essenziale della normalità della
vita di un bambino.
D. – La Siria è, dunque, uno dei Paesi beneficiari di questa
campagna dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Avete portato,
ad esempio, la vita nel campo rifugiati Zaatari in Giordania, che accoglie in questo
periodo numerosissimi sfollati...
R. – Nel campo di Zaatari vivono circa 30
mila persone, gente che come noi prima abitava in appartamenti confortevoli, pieni
di ogni servizio, quindi con un certo benessere, e che purtroppo dall’oggi al domani
invece sono stati costretti ad andarsene, lasciando tutto. Abbiamo incontrato persone
che ci facevano vedere le chiavi della loro casa in Siria, come unica cosa che avevano
portato con sé. Una cosa inutile, visto che in molti casi non c’era neanche più quella
casa, essendo stata bombardata. Una situazione difficile, dunque, per gente che si
ritrova adesso nel mezzo del deserto - perché Zaatari è nel mezzo del deserto - a
vivere sotto una tenda. Nonostante gli sforzi dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati e di tutte le altre agenzie ed associazioni che lavorano è una
situazione molto difficile. E’ vero, quattro mesi e mezzo fa non c’era niente in quel
deserto e abbiamo portato l’acqua, abbiamo portato la luce, abbiamo impiantato ospedali
e, dunque, è stato fatto molto, ma è chiaro che, comunque, non è sufficiente per dare
delle condizioni minimamente paragonabili a quelle cui erano abituati i siriani.
D.
– Nonostante il messaggio che spesso purtroppo passa anche sui canali mediatici e
negli ambienti politici, in Siria, come in altre situazioni di conflitto, sostanzialmente
l’emergenza si verifica all’interno del Paese e si ferma soprattutto ai Paesi confinanti.
Qual è il rapporto tra i richiedenti asilo nei Paesi limitrofi alla Siria, rispetto
a quelli che invece sono arrivati in Europa e in Italia, in particolar modo?
R.
– Questa è una buona domanda. Per quanto riguarda ad esempio i siriani, in Italia
ne sono arrivati 369. Quindi, un numero veramente esiguo se si pensa che nei Paesi
confinanti ce ne sono 430 mila. In una sola notte, tra l’8 e il 9 novembre, 10 mila
siriani sono stati costretti ad attraversare il confine verso la Turchia e la Giordania.
Diecimila è anche il numero delle persone che sono arrivate via mare in Italia in
questo anno. Per dire, quindi, che quella che da noi viene sempre descritta come un’emergenza,
come se l’Italia fosse l’unico Paese a farsi carico, in questi Paesi invece viene
vissuta come qualcosa di quasi doveroso. La politica della porta aperta è stata adottata
da tutti i Paesi circostanti, ma non si può pensare che questi Paesi possano da soli
farsi carico dell’onere che questo implica. Bisogna, quindi, sostenerli economicamente
e finanziariamente. Non si può accettare l’idea che si crei uno stallo, anche a livello
umanitario, così come invece sta avvenendo a livello politico. Il nostro auspicio,
dunque, è quello che ci sia una risposta più sentita da parte della comunità internazionale.