2012-11-23 08:13:01

In Siria sono oltre 40mila i morti dall'inizio del conflitto. Si aggrava l'emergenza profughi


In Siria nessuna tregua: i ribelli hanno conquistato una città strategica al confine con l’Iraq, mentre è sempre più drammatico il bilancio delle vittime della guerra civile in corso da 20 mesi. Ad annunciarlo fonti delle opposizioni, che parlano di oltre 40mila morti, tra i quali 28mila civili. Sentiamo Marina Calculli: RealAudioMP3

I ribelli siriani hanno affrontato ieri un combattimento senza precedenti con combattenti della comunità curda, rimasta fedele al regime di Bashar al-Assad. Secondo le fonti registrate dall’Osservatorio siriano per i diritti umani la battaglia principale si è svolta a Ras-el-‘ain, nel nord, e in prima linea dalla parte dei ribelli c’era il fronte islamista al-Nousra. Non è forse un caso che la mobilitazione dei kurdi avvenga proprio mentre sale ai massimi storici la tensione tra Siria e Turchia, un paese che con i kurdi ha un contenzioso di vecchia data. Ankara ha chiesto alla Nato missili patriot da schierare alla frontiera. Secondo fonti dell’alleanza Atlantica, che presto effettuerà un sopralluogo in Turchia, questi potrebbero arrivare già a metà dicembre. Germania, Olanda e Stati Uniti si sono, infatti, rese disponibili a fornire i missili ad Ankara . Intanto, secondo diverse fonti è salito a circa 40.000 il numero dei morti della guerra civile, mentre aumenta il numero dei rifugiati nei paesi vicini. In Libano i profughi rivendicano un campo in cui vivere, opzione tuttavia già negata dal governo libanese.

Si fa sempre più grave l’emergenza profughi. A confermarlo anche Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, al microfono di Silvia Koch:RealAudioMP3

R. – La situazione in Siria sta peggiorando sempre di più. All’interno della Siria ci sono oltre 2 milioni e mezzo di sfollati, cioè gente che ha lasciato la propria abitazione e ha trovato rifugio in altre città, presso parenti e amici. In più, ci sono oltre 430 mila rifugiati nei Paesi confinanti, che vivono sotto le tende, che vivono anche loro presso parenti, presso amici, in edifici pubblici in disuso. Quindi, una situazione che, dal punto di vista umanitario, è sicuramente grave. Noi abbiamo fatto un appello di 488 milioni di dollari, per portare avanti le attività umanitarie, per portare soccorso solo nei Paesi confinanti, dove si trovano i 430 mila rifugiati, e ad oggi abbiamo ricevuto il 35 per cento di questo appello. La stessa cosa sta succedendo per l’appello che abbiamo rivolto per aiutare gli sfollati all’interno della Siria: ad oggi siamo a meno del 40 per cento dei soldi richiesti. Per questo, quindi, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati si rivolge anche ai privati, alle aziende, alle fondazioni. Ed anche la campagna che abbiamo lanciato in questi giorni, intitolata “Routine is Fantastic”, è mirata proprio a far sì che i bambini non debbano rinunciare anche alla scuola, perché questa è una componente essenziale della normalità della vita di un bambino.

D. – La Siria è, dunque, uno dei Paesi beneficiari di questa campagna dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Avete portato, ad esempio, la vita nel campo rifugiati Zaatari in Giordania, che accoglie in questo periodo numerosissimi sfollati...

R. – Nel campo di Zaatari vivono circa 30 mila persone, gente che come noi prima abitava in appartamenti confortevoli, pieni di ogni servizio, quindi con un certo benessere, e che purtroppo dall’oggi al domani invece sono stati costretti ad andarsene, lasciando tutto. Abbiamo incontrato persone che ci facevano vedere le chiavi della loro casa in Siria, come unica cosa che avevano portato con sé. Una cosa inutile, visto che in molti casi non c’era neanche più quella casa, essendo stata bombardata. Una situazione difficile, dunque, per gente che si ritrova adesso nel mezzo del deserto - perché Zaatari è nel mezzo del deserto - a vivere sotto una tenda. Nonostante gli sforzi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e di tutte le altre agenzie ed associazioni che lavorano è una situazione molto difficile. E’ vero, quattro mesi e mezzo fa non c’era niente in quel deserto e abbiamo portato l’acqua, abbiamo portato la luce, abbiamo impiantato ospedali e, dunque, è stato fatto molto, ma è chiaro che, comunque, non è sufficiente per dare delle condizioni minimamente paragonabili a quelle cui erano abituati i siriani.

D. – Nonostante il messaggio che spesso purtroppo passa anche sui canali mediatici e negli ambienti politici, in Siria, come in altre situazioni di conflitto, sostanzialmente l’emergenza si verifica all’interno del Paese e si ferma soprattutto ai Paesi confinanti. Qual è il rapporto tra i richiedenti asilo nei Paesi limitrofi alla Siria, rispetto a quelli che invece sono arrivati in Europa e in Italia, in particolar modo?

R. – Questa è una buona domanda. Per quanto riguarda ad esempio i siriani, in Italia ne sono arrivati 369. Quindi, un numero veramente esiguo se si pensa che nei Paesi confinanti ce ne sono 430 mila. In una sola notte, tra l’8 e il 9 novembre, 10 mila siriani sono stati costretti ad attraversare il confine verso la Turchia e la Giordania. Diecimila è anche il numero delle persone che sono arrivate via mare in Italia in questo anno. Per dire, quindi, che quella che da noi viene sempre descritta come un’emergenza, come se l’Italia fosse l’unico Paese a farsi carico, in questi Paesi invece viene vissuta come qualcosa di quasi doveroso. La politica della porta aperta è stata adottata da tutti i Paesi circostanti, ma non si può pensare che questi Paesi possano da soli farsi carico dell’onere che questo implica. Bisogna, quindi, sostenerli economicamente e finanziariamente. Non si può accettare l’idea che si crei uno stallo, anche a livello umanitario, così come invece sta avvenendo a livello politico. Il nostro auspicio, dunque, è quello che ci sia una risposta più sentita da parte della comunità internazionale.







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