Il capo del Dap Tamburino: per le misure alternative fare salto culturale in avanti
Nuovo tentativo di suicidio in un carcere. Un detenuto del penitenziario fiorentino
di Sollicciano si è dato fuoco e ora si trova in gravi condizioni al Centro ustionati.
Giovedi, nel ricevere i direttori delle Amministrazioni Penitenziarie del Consiglio
d'Europa, il Papa ha detto che “una detenzione fallita nella funzione rieducativa
diventa una pena diseducativa“. In questo senso, le misure alternative alla detenzione
in carcere sono importanti? Alessandro Guarasci lo ha chiesto a Giovanni
Tamburino, a capo del Dap, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria:
R. – Sicuramente,
noi dobbiamo fare questo salto culturale in avanti, nel pensare che la pena non è
soltanto il carcere, non è la pena detentiva e basta. Ci sono una serie di fatti illeciti
– penalmente illeciti – che richiedono quindi una risposta sanzionatoria da parte
della società, per dare sicurezza alla società e anche per la giustizia, nei confronti
delle vittime. Però, non necessariamente questo deve essere il carcere. Cioè, l’idea
che "pena uguale carcere" è un’idea che dev’essere superata con una visione culturale
più aggiornata e più adatta ai tempi.
D. – La spending review quanto sta incidendo
sul funzionamento ordinario delle carceri? Ma non solo la spending review: diciamo
tutti i tagli di spesa che sono stati avviati nell’ultimo anno …
R. – Sta incidendo
in modo notevole e in particolare per quanto riguarda due settori: quello del lavoro
e quello, anche, dell’educazione, della scuola in carcere. Così come per la presenza
di quel supporto di carattere psicologico e, a volte anche psichiatrico, di cui si
ha bisogno non infrequentemente in relazione alla popolazione detenuta. Tutto questo
fa soffrire di più la situazione penitenziaria generale. Devo dire che vi è anche
un grande sforzo, coronato pure da buoni risultati, di razionalizzazione della spesa,
cioè ottenere gli stessi risultati pur con risorse che si sono molto ridotte.
D.
– E’ soddisfatto della qualità dei programmi di reinserimento che a volte vengono
avviati nelle carceri italiane?
R. – La realtà carceraria è molto articolata,
è molto differenziata. E’ sbagliato presentare solo gli aspetti negativi, perché ci
sono anche aspetti di realtà molto positive, e quando si dà un giudizio si deve tener
conto sia di quello che non va bene, ma anche di quello che va bene. Bollate, ma anche
Padova, anche altre realtà come Viterbo, Rieti … ci sono realtà in cui la rieducazione
è qualcosa di concreto: passa attraverso il lavoro, l’impegno, con risultati molto
positivi.